Dimitri Milleri e Agnese Banti
La sound artist Agnese Banti è presente a Short Theatre 2024 con dispositivo aperto e “site-responsive” per voce, cavi e altoparlanti Speaking Cables.
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In Speaking Cables il tuo corpo e la tua voce navigano fra metri e metri di cavi, un microfono e svariati altoparlanti. Quali sono i temi che si intrecciano nell’opera?
Si può dire che Speaking Cables rappresenti un ricongiungimento di interessi personali e artistici, che forse per la prima volta riescono a trovare un contatto. Il lavoro nasce da un’indagine sonora. Il suono indagato tende a farsi altro: la voce è strettamente legata al corpo e al sé, quindi quando fuoriesce espande i confini soggettivi e corporei. Il suono vocale esternalizzato crea uno spazio da esplorare: l’attenzione è su di esso, ma la ricerca che lo investe è estetico-filosofica. A quella sul suono si affianca una seconda indagine, grafico-visiva. Ho cercato di portare in scena una sintesi radicale fra gli aspetti visivi e sonori. Il progetto è percorso da domande simili: come può il sonoro materializzarsi nello sguardo in quanto movimento, gesto, azione? E come può il visivo essere letto attraverso il suono? Come può il sonoro materializzarsi in quanto movimento, gesto, azione? E come può il visivo essere letto attraverso il suono?
In un’intervista hai parlato del fatto che i cavi, microfoni e altoparlanti utilizzati non sono elementi neutri ma interagiscono con la tua voce e la modificano. Si può dire, usando le parole della filosofa americana Jane Bennett, che questi oggetti abbiano in realtà una capacità di agire su di noi, che siano “vivi” (Materia Vibrante, Timeo, 2023)?
I dispositivi che utilizzo sono una specie di estensione del corpo ma anche qualcosa di “altro”. Da una parte, al mio corpo si sommano dodici cavi da quaranta metri l’uno, che collegano un microfono ai dodici altoparlanti, tramite un tredicesimo cavo; dall’altra, questi oggetti non fanno davvero parte del mio corpo: non sono materialmente legati a me, ma un altro con cui entro in relazione. Anche riascoltare la propria voce registrata significa instaurare una relazione, un dialogo fra noi stessi e qualcosa che era nostro e che è uscito dal corpo ed entrato nel dispositivo. È diventato di tutti e chiunque lo può ascoltare. La contemplazione giocosa di Speaking Cables contempla e interroga la fuoriuscita della voce dal nostro corpo come esperienza traumatica. È uno spossessamento ma può anche essere bellissimo, dal punto di vista estetico e percettivo, come quando sommiamo le nostre voci in un coro.
Restando su quest’idea della voce che si dispone alla trasformazione, che ruolo ha avuto nella tua ricerca la pratica del canto armonico (overtone singing), e in particolare come ha influenzato la tua vocalità?
L’uso della voce nel lavoro è piuttosto neutro, non presenta quel ventaglio di tecniche estese che vengono impiegate spesso da chi lavora con la ricerca vocale: queste tendono un po’ a spettacolarizzare la voce, mentre in Speaking Cables la materia vocale è pulita e l’elaborazione elettronica non è mai spinta al punto di trasfigurarla. L’unica tecnica vocale specifica che uso è il canto armonico, che dà vita a un suono ricco ma immediato. Lo studio del canto armonico mi ha portata a pensare che in realtà sia bellissimo lasciare andare la voce attraverso specifiche modalità di emissione. Per chi non conosce la tecnica del canto armonico non è facile capire esattamente cosa stia facendo quando la uso. I suoni armonici prodotti dalla voce sono tra i più facilmente accessibili all’orecchio umano, rendendo l’ascolto un’esperienza godibile da chiunque.
In Speaking Cables ti muovi in uno spazio astratto, magico, lontano dalla quotidianità. Cosa stavi cercando quando lo hai concepito? Cosa ti piacerebbe portare dal mondo della tua opera a quello della vita di tutti i giorni, nella sua complessità piena di variabili?
Quando mi pongono una domanda specifica sull’esperienza che compio nella performance mi rendo conto che mi sono ritrovata a interrogare e superare dei dualismi. Da una parte lo spazio del progetto è astratto, bianco, un luogo in cui accade qualcosa che non potrebbe accadere in nessun’altra situazione. Dall’altra quello che accade è fisico, presente: ci sono i cavi, il corpo, il suono, il legno degli altoparlanti – questi elementi non hanno niente di astratto, così come le azioni che compio con e attraverso di essi. Avevo il desiderio di lavorare sull’idea del foglio bianco, e quindi una pulizia totale dello spazio, la possibilità di diventare piccolissima e farmi una camminata sulla superficie di un A4 vuoto. Quando ho avuto l’occasione di realizzare il progetto, ho immaginato qualcosa che mi sembrava folle da poter mettere in pratica: è stato un pensiero davvero libero, così com’è libera l’offerta di un foglio bianco ancora pulito. Quel che mi porto a casa è l’aver potuto trasformare dei dispositivi audio in elementi di composizione visiva e l’esperienza di muoversi in uno spazio bianco di dieci metri per dieci e di riempirlo come desidero.
L’intervista Spazio-Suono-Immagine, a cura di Dimitri Milleri è stata commissionata e pubblicata precedentemente sul Magazine di Triennale Milano il 19 febbraio 2024, in occasione della performance Speaking Cables nell’ambito di FOG Performing Arts Festival.
Agnese Delia Banti è artista sonora, musicista e overtone singer. Da diversi anni collabora con varie personalità e realtà della sperimentazione sonora e performativa. La sua attività artistica gravita intorno alla composizione per lo spazio, la voce corale, gli studi sul paesaggio sonoro, la ricerca attorno al rapporto gesto-suono, i repertori di musica tradizionale e la dimensione collaborativa del processo creativo. Diplomata con un progetto installativo sulla voce delle rane e le rovine antiche realizzato tra il Conservatorio di Musica di Bologna e l’Università di Corfù, da qualche anno collabora stabilmente con il centro fiorentino di produzione, ricerca e didattica musicale Tempo Reale. Da diversi anni collabora a progetti di canto armonico con il compositore Roberto Laneri. Ha frequentato il corso di Alta Formazione Malagola, Scuola di vocalità e Centro Studi sulla voce di Ravenna.
Dimitri Milleri nasce a Bibbiena nel 1995, e frequenta il corso magistrale di chitarra classica presso il conservatorio di Vicenza. Oltre che di musica, si occupa di letteratura e traduzioni per la rivista Lay0ut Magazine, di cui è fondatore e co-direttore. Ha pubblicato il libro di poesie Sistemi (Interno Poesia, 2021), nonché interventi di critica, poetica e traduzioni su varie riviste nazionali online. Collabora anche con il magazine di Treccani e con Poesia del nostro tempo. Come librettista ha lavorato con i compositori Andrea Gerratana – con cui ha scritto l’opera Il dislivello (2018) – e Riccardo Perugini.
COMBIN/AZIONI è la sezione di CUT/ANALOGUE delle conversazioni, spazio per un materiale che si attiva in una reciproca implicazione. Campo di possibilità discorsive che si generano come mescolanze dinamiche tra soggetti, situate in un tempo, contingenti.