Short Theatre 2020

Short Theatre 2020 giunge alla sua 15esima edizione e lo fa in uno dei momenti più complessi della storia recente.

Sarà un festival plasmato dalla stratificazione delle esperienze, dal riverbero delle cose vicine e lontane, raccontato dalla molteplicità di voci che rendono Short Theatre una comunità presente, sebbene sparsa nel tempo e nello spazio. Un festival per cercare di tenere insieme il presente di quanto sta avvenendo, e che avverrà dal vivo, la traccia lasciata in questi quindici anni, e l’immagine di ciò che si sta già trasformando nel suo futuro.

Attraverseremo lo spazio pubblico e abiteremo in modo diverso quello della Pelanda, attivando altre relazioni tra i corpi con spettacoli, performance e installazioni. Percorrendo le sale di WeGil, torneremo a mettere in discussione il nostro sguardo attraverso le pratiche di decolonizzazione, e interrogheremo l’idea di ospitalità grazie alla co-abitazione con il festival Materiais Diversos e con il cantiere creativo di Panorama Roma. Sarà ancora l’atmosfera luminosa di Controra ad attrarci nelle ore notturne mentre, durante il giorno, gli incontri a Little Fun Palace e i workshop della sezione Tempo Libero faranno risuonare i pensieri e le idee disseminate nella programmazione.

Intro – Una manifestazione

Alla fine della scorsa edizione abbiamo cominciato a disegnare questa quindicesima, immaginandola come una festa di passaggio, come un’occasione per tessere dei fili di questi anni, cercando indietro nel tempo e nel presente – che sono poi la stessa cosa, nel loro riverberare – e trovandoci a ragionare su qualcosa che doveva essere l’inizio di un archivio, un catalogo ma non un semplice catalogo, una concatenazione di pensieri, una mappa colta nel suo comporsi – discorsi come fiumi, sguardi come piazze, forme dello stare, insieme.

Nei primi mesi della inaspettata emergenza sanitaria e sociale che ha invaso questo 2020, abbiamo oscillato dall’idea di dover sospendere la realtà di questa edizione, di inventare altre forme per cui potesse manifestarsi, di farne ad esempio una versione ‘cartacea’ – prendendo così da un’altra parte ancora l’idea di un archivio di discorsi: non una semplice rinuncia di fronte all’assenza dello spettacolo dal vivo, ma il rilancio di una possibilità in cui fermarsi a pensare e a guardare, in un altro modo, ancora ma diversamente.

Poi abbiamo intravisto la possibilità di esserci e di poter riaccogliere e ricomporre anche quest’anno la comunità di artist_, pubblico e operatori/trici che sono e fanno Short Theatre. E allora, nel rispetto delle regole e delle condizioni che questo periodo emergenziale ci chiede di seguire, l’impianto del festival resta inalterato, anche se articolato diversamente: attraverso un respiro ampio, si dispiega in uno spazio più largo, in un’atmosfera più morbida e rarefatta.

Sarà quindi ancora una volta – la quindicesima! – ritrovarsi per cercare i gesti e le parole per manifestarsi, ritrovarsi, a sé stess_ e gli/le un_ con gli/le altr_, e immaginare già le prossime: le future, quelle che sentiremo più vicine, e che ancora non conosciamo.

E saranno i linguaggi, dalla performance al teatro, dalla danza alla conversazioni, alla musica, ad animare la nostra comprensione di questo presente. Si rinnovano alcuni progetti in forme inedite, come l’incontro tra Panorama Roma e Fabulamundi, e poi i Progetti in Residenza che ci accompagneranno per tutta la durata del festival, e la Controra, un tempo musicale che quest’anno sarà ancora più prezioso, dovendo rinunciare alla sua temperatura sovversiva e coagulante. Anche quest’anno l’apertura del festival è negli spazi di WeGil, il Tempo Libero dei laboratori al Teatro India, e poi la programmazione alla Pelanda e al Teatro Argentina.

Le righe che state leggendo sono le prime di un catalogo che raccoglie tutte queste intenzioni e derive: l’idea di una concatenazione di pensieri e discorsi che ci faccia riattraversare i primi quindici anni di Short Theatre, e poi tentativi di svolgere l’interpretazione di un presente così spiazzante, in dialogo con gli/le artist_ e con tutte le persone complici che abitano e vivono il festival. Abbiamo sentito il bisogno di rivolgerci agli/lle artist_, coinvolgendoli attivamente nella costruzione del racconto del festival, chiedendo loro di prendere parola non solo attraverso i propri lavori ma anche condividendo con noi le risposte ad alcune delle domande che hanno accompagnato la preparazione di questa edizione. A raccontare il festival, così, sarà proprio il coro di voci e corpi che lo attraversano, che lo animano e lo compongono, in una trasmissione di parole e immagini che vorremmo si faccia, questa sì, contagiosa.

Una delle pratiche a cui siamo più affezionat_ è la scelta del sottotitolo. Una frase, una parola, cui affidavamo il compito di raccontare l’articolazione dell’edizione, di condividere l’atmosfera in cui ci sentivamo avvolti nella sua fase finale di preparazione. Non un tema, non un titolo, ma una traccia, la condensazione di un atto collettivo di creazione e di cura. Di fronte alla complessità enorme di questi giorni, scegliamo questa volta la strada della sottrazione, occupando diversamente lo spazio del dire. Questa edizione di Short Theatre non sarà accompagnata da un sottotitolo, provando a far sì che sia la rarefazione dei segni, piuttosto che il suo moltiplicarsi, a liberare ancora altri significati.

Il catalogo che andrete ora a sfogliare contiene il risultato di questo dialogo: con gli/ le artist_, teoric_, curat_, attivist_, critic_, alcun_ che conoscevamo già, qualcun_ conosciuto proprio grazie a questa occasione. I testi di presentazione del programma, così come gli interventi teorici sono frutto di conversazioni, reali o immaginarie, dirette o indirette con il gruppo di persone che quest’anno è Short Theatre 2020. Conversazioni che hanno a che fare con il tempo, con le geografie affettive e spaziali in cui si colloca il nostro fare, e con tutte quelle cose, persone, immagini, temi, pensieri che vi ruotano intorno e che lo nutrono. Conversazioni che nel farsi del festival accadono sempre, normalmente, e che oggi rivendichiamo come nostra pratica guida.

LET MY BUILDING BURN

Per un festival, manifestarsi ha sempre del miracoloso. Quest’anno, lo sentiamo tutt_, forse ancor di più. E nell’idea che le cose potessero sfuggire, sappiamo di aver chiesto “di più”: a noi, al tempo, allo spazio della città, agli/le artist_ e alle persone coinvolte nel programma. Oggi più che mai questa possibilità di manifestarsi è il frutto – e il dono – di uno sforzo collettivo di cui siamo grat_ e che speriamo di saper ricambiare. Gli edifici crollano, le statue cadono, i mari continuano a essere liquidi letali per molt_, intorno a noi la terra brucia e si fa,per noi, sempre più inospitale. I mesi che abbiamo trascorso ci impongono di guardare al cuore delle cose, con tutta la violenza che questo comporta. Non basta più preparare la casa in cui incontrarci, perché di quella casa dobbiamo riprogettare insieme la forma, reiventando anche le strategie e gli strumenti con cui costruirla. Il nostro orizzonte ci si svela oggi (finalmente?) per quello che è: squarciato, confuso, trasformato, magmatico, a volte tossico. Ma è proprio in questo che ri-scopriamo qualcosa che già sapevamo, e che dobbiamo tradurre sempre più in pratica: la nostra manifestazione non partecipa di alcuna natura divina, non ha a che fare con il miracolo, non rappresenta uno stato di grazia, un’eccezione alla regola. La nostra manifestazione riguarda la possibilità sempre presente di trasformare, il potere – tutto terreno – del lottare, la capacità di immaginare ciò che non è ancora, di creare spazio dove sembra non possa esistere, di diffondere e disseminare il desiderio, opponendo il comune al proprio, il collettivo al singolare, il trasmettere al tramandare, il trasformare al conservare. La nostra manifestazione ci ricorda che distruggere è sempre un’opzione – gioiosa, vitale, erotica – di fronte a un mondo che continua a morire di ingiustizia, privilegio, autoreferenzialità. E che distruggere, anche nelle sue accezioni più morbide – modificare, cambiare, trasformare, rivedere, correggere, spostare – non è che un passaggio che prelude al costruire.

* Il 25 maggio 2020 a Minneapolis il cittadino afro-americano George Floyd viene arrestato e ucciso da un agente di polizia bianco che lo ha spinto a terra soffocandolo con un ginocchio premuto sul collo. A partire da questa uccisione, un’ondata di proteste infuoca la città e tutti gli Stati Uniti d’America.

All’alba del 29 maggio 2020 Ruhel Islam, proprietario del Gandhi Mahal Restaurant, ristorante Bangla-Indiano nella periferia sud di Minneapolis, viene informato che il suo ristorante è stato gravemente danneggiato dalle fiamme causate dalle proteste. Nel ricevere la notizia Ruhel Islam dichiara: «Let my building burn, justice needs to be served» (Lasciate che il mio palazzo bruci, bisogna fare giustizia).

Panorama Roma

Panorama Roma è un progetto di Fabrizio Arcuri nato nel 2018 tra le maglie di Short Theatre e che raccoglie l’adesione di altre strutture romane. Si tratta di una zona di condivisione, di ricerca e di riflessione nata intorno alle necessità della comunità artistica romana, nella quale gli artisti e le artiste sono invitat_ a condividere parte del proprio percorso artistico e del processo in cui si trovano immers_.

Quest’anno Panorama Roma amplia il proprio sguardo trasversale sulla produzione culturale romana, alla ricerca di nuovi modelli produttivi e convergenze che possano nutrirli, intrecciandosi con il progetto europeo Fabulamundi Playwriting Europe. Gli/le artist_ e le compagnie che quest’anno sono state coinvolte si confronteranno con testi internazionali ancora inediti in Italia, selezionati durante questi tre anni, allestendo nei giorni di Short Theatre un cantiere creativo visibile al pubblico.

Altri Racconti

Ripiglini.
Un racconto in divenire
a cura di Lele Marcojanni

4-13 settembre | WeGil – La Pelanda
videoracconto

l “gioco del ripiglino”, caro a Donna Haraway, è quel gioco che si fa intrecciando tra le mani un filo di spago per generare figure che vengono scomposte da altre mani allo scopo crearne sempre di nuove.
In questa 15esima edizione di Short Theatre, Lele Marcojanni si occuperà di riprendere le fila di tutte le diramazioni in cui si rifrange il festival, curando un video-racconto costruito giorno per giorno e disseminato online e in diversi luoghi della città.
Un documentario sperimentale che mescola i linguaggi multimediali, tesse i fili di un prima, frutto di scambi, voci, testi e confronti con la presenza del festival in divenire.
La camera si infila tra gli spazi di un dialogo aperto per la costruzione del festival e restituisce un racconto di punti di connessione spinti da intenzioni e traiettorie attraverso le immagini dei lavori e degli eventi in programma.
La lunghezza del lavoro cresce con lo svolgersi del festival, diffuso in contemporanea su schermi e pareti, una disseminazione di prossimità che cerca di coinvolgere anche chi il festival non potrà seguirlo in presenza.

Lele Marcojanni vive e lavora a Bologna.
Racconta e sviluppa progetti di narrazione visiva in luoghi e su supporti che trova più adatti alla storia.
Lele Marcojanni ha firmato la regia di documentari, cortometraggi e mockumentary con i quali è stato selezionato in festival di cinema nazionali e internazionali. Lele collabora da anni con realtà culturali italiane per la documentazione di eventi performativi. Usa anche la scrittura e si interessa di progetti editoriali da tempi non sospetti: ha realizzato Carta, due cortometraggi dedicati a Giorgio Maffei e Christoph Schifferli, tra i più importanti collezionisti di libri d’artista in Europa. Le città hanno gli occhi (2016) è un progetto espositivo che raccoglie il racconto corale di Bologna e il suo rapporto con il fumetto.
Con I racconti di nessuno/Nobody’s tales (2019) e il primo capitolo del lavoro girato a Taranto vecchia, Lele Marcojanni ibrida il linguaggio della letteratura stampata a quello del cinema creando un dispositivo che costringe il lettore/spettatore ad intervenire direttamente sulla composizione dell’opera.
Lele Marcojanni è un progetto collettivo fondato da Elena Mattioli, Flavio Perazzini e Roberto Mezzano.

lelemarcojanni.com

“che la mappa della primavera è sempre da rifare”*
Ilenia Caleo ~ Muna Mussie: una conversazione a distanza.

4-5-6 settembre | 18:00-24:00 | WeGil
installazione audio
27′

Iniziamo questa 15esima edizione abitando di nuovo gli spazi di WeGil, continuando la riflessione sull’eredità storica di questo edificio, intraprese lo scorso anno. Lo facciamo insieme a tutto il pubblico, con gli/le artist_ e con gli/le alleat_, attiviste/i, scrittrici/tori, teorici/che, che dallo scorso anno ci accompagnano in questo percorso volto a far riaffiorare quelle narrazioni che la storia coloniale e fascista, invece, ha nascosto, rimosso e negato.

Tra i vari gesti che in questa edizione cercheranno di “liberare lo spazio dai fantasmi” c’è “che la mappa della primavera è sempre da rifare”, una conversazione a distanza con cui Ilenia Caleo, performer, attivista, ricercatrice e curatrice del Modulo Arti del Master di Studi e Politiche di Genere dell’Università di Roma Tre, e Muna Mussie, artista eritrea attiva tra Bruxelles e Bologna, ci accompagnano in una guida sonora con cui rileggere la memoria di determinati segni.

Una mappa, vuota: te la descrivo. E poi. Il gesto che segna i confini. La memoria. L’intimità. Si può rifare storia partendo dall’intimità? Una foto degli anni Settanta: te la descrivo. I corpi sono archivi che vibrano. La voce come mezzo.

Una conversazione aperta che prosegue l’intervento negli spazi dell’ex-Gil provando a chiederci come riabitare, risignificare, problematizzare i segni di un’eredità coloniale sempre rimossa.

[* da un verso di Aimé Césaire, Diario del ritorno a un paese natale]

Ilenia Caleo è performer, attivista e ricercatrice indipendente. Dal 2000 lavora come attrice e performer nella scena contemporanea, collaborando con diverse compagnie e registe/i. Si occupa di corporeità, epistemologie femministe, sperimentazioni nelle performing arts, nuove istituzioni e forme del lavoro culturale, relazione tra arte e attivismo. È docente collaboratrice presso lo IUAV di Venezia nel laboratorio di Arti visive diretto da Annalisa Sacchi.
Collabora con la redazione di Iaph e con OperaViva.
Attivista del Teatro Valle Occupato e nei movimenti dei commons e queer-femministi, è cresciuta politicamente e artisticamente nella scena delle contro-culture underground.

Muna Mussie, artista eritrea attiva tra Bruxelles e Bologna, inizia il suo percorso artistico nel 1998 a Bologna, formandosi come attrice performer con il Teatrino Clandestino e con il Teatro Valdoca. Dal 2001 al 2005 è parte attiva nel gruppo di ricerca Open, progetto con il quale inizia a maturare il desiderio di indagare altre possibilità dello stare in scena. Dal 2006 crea lavori pienamente autoriali, di cui cura concezione, messa in scena e interpretazione, sino al recente Monkey See, Monkey Do (2012) e Milite Ignoto(2014-15). Ha collaborato continuativamente con il filmmaker Luca Mattei e con gli artisti Flavio Favelli, Riccardo Benassi, Sonia Brunelli, Gaetano Liberti, Irena Radmanovic, Dominique Vaccaro, Massimo Carozzi, Brett Bailey, Mette Edvardsen.
Il lavoro performativo di Muna Mussie ricerca accordi precari su ipotesi di s-confino.[/vc_column_text][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_row_inner][vc_column_inner][ManlioMa_StickySection title=”Tempo Libero”][vc_column_text]Skholḗ nell’antica Grecia era il ‘tempo libero’, dedicato allo svago della mente, cioè lo “studio”, diventato solo in seguito ‘luogo ove si attende allo studio’.

Anche quest’anno Short Theatre fa spazio al suo interno a un tempo di apertura e di condivisione, parallelo e insieme intrecciato alla programmazione del festival: Tempo Libero, la sezione che dal 2018 raccoglie i laboratori, i workshop e i momenti di formazione diffusa e gratuita. Il Tempo Libero di Short Theatre è immaginato come un intervallo – dal produrre, dal contabilizzare, dall’ottenere – ma fecondo e intriso di realtà: piccoli spazi di libertà che siano occasioni per porre l’attenzione ai modi e alle condizioni con cui si trasmette il sapere, con cui si dà forma all’esperienza e alle idee, e si reinventa la realtà.

Controra

Nella tradizione popolare, la Controra è quella che descrive le ore visionarie del primo pomeriggio, quando il sole si fa impietoso e le ombre scompaiono, lasciando apparire spiriti, sirene, ninfe e demoni. È il tempo magico e caldo che interrompe lo scorrere scandito della giornata, l’ora che blocca l’attività e si dilata in atmosfera. La Controra di Short Theatre sovverte ancora la grammatica temporale del giorno e si accende dopo il tramonto, includendo al suo interno i concerti live, i dj-set, le serate notturne. È un’ora caratterizzata da un tempo differente, disteso, improduttivo e non prescrittivo, nel quale quindi possono nascere anche gli incontri più imprevisti.

In questa edizione così delicata trasformiamo quindi la Controra, che si colora di tinte differenti e ci conduce in un territorio fatto di morbidezze sonore, ascolti intimi, ritmi lenti o sperimentazioni musicali preziose e piene di dettagli. Sarà una Controra all’insegna della rarefazione, dell’emotività o dell’ascolto attento, della prossimità che si traduce in intimità e connessione, più che in contatto fisico.

Displacement of Festival

Dal 2018 Short Theatre ha intrapreso un’avventura in compagnia di cinque festival e spazi culturali e altrettanti artist_ disseminati in Europa e non solo. Quest’avventura si chiama More Than This ed è un progetto europeo che si conclude quest’anno, il cui obiettivo è ridefinire la nozione di “spostamento” come cambiamento nel nostro modo di percepire identità e pratiche, ripensando le modalità di ospitalità, mettendo in discussione la nostra capacità di accogliere gli altri e di andare verso di loro.

Nel 2020 Short Theatre è stato coinvolto in una delle attività più innovative di More Than This, il Displacement of Festival, attraverso la quale ragionare non solo sulla  mobilità dell’artista, ma anche su quella delle istituzioni culturali stesse. A coppie, ogni festival coinvolto dal progetto è stato ospitato o ha ospitato a sua volta uno degli altri partner, dando vita di fatto a 3 piccoli festival itineranti e ibridi, risultato della co-abitazione tra quello “ospite” e quello “ospitato” e del loro lavoro comune sviluppato nei mesi precedenti, in cui sperimentare altri approcci al lavoro, condividere know-how e creare nuovi strumenti e nuovi modi di lavorare insieme.

In questa edizione così stratificata e definita dal dialogo, Short Theatre 2020 accoglie così al suo interno tracce di Materiais Diversos, che a sua volta assume delle forme specifiche nel suo “spostarsi” a Roma, e che si sostanziano nella presenza di quattro artist_ propost_ dal festival portoghese: Tiago Cadete, Volmir Cordeiro, David Marques e Catarina Miranda.

Accompagnerà questa co-abitazione il Moments of Reflection, un incontro a più voci curato da Simone Frangi, in cui lasciar emergere ed ampliare il pensiero nato intorno alla pratica del Displacement of Festival.

Progetti in Residenza

Negli ultimi anni Short Theatre si è fatto sempre più spazio aperto alle smarginature, pronto ad accogliere le intuizioni che arrivano dall’esterno. I Progetti in Residenza sono quei progetti stanziali che abitano il festival per tutta la sua durata, o quasi. Zone di accadimenti quotidiani, con un proprio calendario che si innesta su quello principale, curate da artist_ con cui il festival condivide sguardi e affinità. In questo modo Short Theatre moltiplica virtualmente e fisicamente i suoi luoghi e si fa contenitore di una simultaneità di dialoghi che, a loro volta, nutrono la temperatura, gli accadimenti e le presenze che attraversano il festival.

Quest’anno i progetti in residenza si mescolano in particolar modo con la sezione Tempo Libero, la sezione che Short Theatre dedica ai laboratori e alle occasioni di apprendimento, rendendo ancora più presente la vocazione alla condivisione e aprendo nuovi percorsi che incontrano e accompagnano gli altri spazi del festival.

OHT / Little Fun Palace_Scuola Nomadica

Les Cliniques Dramaturgiques a cura di Muta Imago / Riccardo Fazi, Elise Simonet, Jessi Mill