di Freddie Mason, tradotto da Giulia Crispiani
Questo testo è un capitolo del libro The viscous: Slime, Stickiness, Fondling, Mixtures (Punctum Books, 2020) di Freddie Mason. Da laghi di asfalto alle vasche di melassa industriale, dai cristalli liquidi a feticci del latte, The Viscous svela la stucchevolezza come una fase della materia singolarmente moderna. Le dinamiche viscose sono esposte non solo come manifestazioni dell’epoca post-industriale, ma come modi di pensare, scrivere e fare, particolarmente utili in questo momento di ansia ecologica. The Viscous è la prima grande raccolta di incontri con e sulle possibilità del vischioso nel secolo precedente, non solo come stato materiale, ma come evento immaginario.
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Anche se Eugene Bingham ha coniato il termine reologia, il suo studio non è affatto iniziato con lui. Il primo caso registrato di studio reologico è considerata la descrizione di Tacito del fiume Giordano che s’immette nel Mar Morto, conosciuto dallɜ anticɜ grecɜ come Lago Asfaltite:
Il Giordano non va a sfociare nel mare, ma attraversa, rimanendo di portata sempre uguale, prima un lago, poi un secondo lago e infine va a gettarsi in un terzo. Questo lago ha un perimetro immenso, tanto da assomigliare a un mare, ma il sapore è disgustoso; l’odore è, poi, pestilenziale e insopportabile per gli abitanti. Il vento non riesce ad incresparne la superficie e non vi possono vivere né pesci né uccelli acquatici. Le acque immobili sostengono gli oggetti che vi vengono buttati sopra, come se fossero su terreno solido e resta a galla sia chi è bravo a nuotare che chi non lo è. Il lago, in un preciso periodo dell’anno, fa salire alla superficie il bitume che viene raccolto con un metodo insegnato dall’esperienza (come in ogni attività umana). È un liquido che, allo stato naturale, si presenta di colore scurissimo: versandovi dell’aceto si rapprende, pur continuando a galleggiare. A questo punto gli addetti al lavoro non devono far altro che prenderlo in mano e tirarlo sulla nave; qui, senza alcun aiuto, prende a colare e a riempire il battello finché lo si taglia. Però non è possibile tagliarlo con lame di bronzo e di ferro: il bitume fugge davanti al sangue e ai panni sporchi per il ciclo mestruale. Questi sono i racconti degli autori antichi. [1]
Come il napalm di Negarestani, il Giordano di Tacito non è un fiume che si arrende facilmente al climax. L’acqua del fiume si tiene insieme, s’incanala in due specchi d’acqua fresca, il primo è il lago di Merom, mentre il secondo è il mare della Galilea, prima di disperdersi nelle dense acque del Mar Morto. Il Mar Morto, un bacino endoreico, è una massa d’acqua chiusa, terminale. Bloccato dal raggiungere il mare, il suo contenuto penetra lentamente nel pavimento poroso, o aspetta di evaporare, diventando pioggia da qualche parte. Di queste zone interne di scolo che raccolgono e stipano l’acqua in isolamento senza sbocchi sul mare, ce ne sono tante sulla terra. A volte sotto forma di laghi, altre di paludi o pantani fangosi, a volte come ampie distese di acqua iper-salinizzata, spesso parecchio insalubre: il lago d’Aral, il Mar Morto, il lago Chad e il lago di Urmia. L’uscita del fiume Giordano è impedita, il suo climax non è un’entrata nella dispersione estatica dell’oceano, ma nelle spesse atmosfere del contenimento della massa acquatica.
Mi sento attirato da questo passaggio di Tacito come un momento in cui il fiume, il normale corso delle cose è rallentato, addensato, inizia ad attaccarsi, a piegarsi su se stesso e a deformarsi in una complessità viscosa. Diverse qualità di flusso e densità di materia si inter-penetrano a vicenda. Il viscoso non è qualcosa che tira verso un collasso nell’amorfismo, ma agisce dentro un campo d’interazione altamente articolato. Il fascino viene, credo, dall’assistere a mobilità che non sono continue, né fluide. La loro dinamica sembra contenere un insieme di convulsioni, d’interruzioni. Invece di meandri e increspature, tutte intese alla continuità definitiva, le cose formano tentacoli, prima di perdersi, ciondolare, attaccartisi addosso, ruttare fuori roba, coagularsi e poi restringersi, come un pacchetto di patatine sulla brace.
Come il napalm di Negarestani, c’è continuità tra le escrescenze della terra e le escrescenza del corpo, in questo caso sangue mestruale e asfalto. Non è una sorpresa che questi primi scritti reologici vengano oscurati da quest’altra sostanza, il sangue mescolato con il tessuto mucoso, il cui processo reologico sarebbe avvenuto, ma non viene descritto. Anche se non taboo come nel periodo Moderno, il sangue mestruale era comunemente considerato, secondo un altro scrittore della prima Roma imperiale, di avere il potere di soffocare il mondo. Il racconto di Tacito sul sangue mestruale capace di tenere sotto controllo questo asfalto indisciplinato è coerente con la descrizione più famosa di Plinio il Vecchio, sulle tendenze del sangue di indebolire la vitalità della materia, rimuovere la sua brillantezza. Oltre alla sua capacità di rendere acidula l’uva, sterilizzare i semi, distruggere gli innesti, essiccare le piante, uccidere sciami di api e fare impazzire i cani, Plinio crede che questo sangue sia anche capace di «ridurre la brillantezza degli specchi, smussare gli angoli dell’acciaio, e levare la lucidatura all’avorio». [2]
Più denso di altro sangue e mischiato con varie quantità di altri tessuti viscosi, più che altro materia coagulata e tessuti delle mucose, l’avversione predominantemente maschile al sangue mestruale ha avuto origine dal considerarlo sostanza post-morte. Questa è una reologia post-morte che può essere comunque recuperata, come vediamo adesso con Tacito, per essere utilizzata da uno spirito d’«industria» e «imprenditoria». Il modo in cui questi due materiali viscosi sembrano spostarsi ambiguamente sulla soglia tra la vita e la morte porta queste sostanze in unione tonica nelle immaginazioni magiche di questi «antichi autori».
Il Mar Morto, vasta piscina statica senza vita, genera una sostanza misteriosa che sembra possedere un qualche tipo di vitalità; una volta risvegliata dalle mani di coloro che la collezionano, troverà la sua strada sulla barca con tentacoli Lovecraftiani. Questa forma nauseante è tagliata non da quello che possa pensarsi come un suo opposto, una lama affilata, ma da qualcosa che fa eco alla sua consistenza. Proprio come, ad esempio, si crede che un dente levigato possa curarti da un morso di serpenta, o possa avere effetti simili. Questa sostanza è quella il cui flusso è sia veicolo di vita che suo potenziale, e la prova che non si sia compiuta: il sangue mestruale.
C’è qualcosa qui che potremmo definire tecnologia post-morte, tecnologia che si trova tra la vita e la morte, così come vengono generalmente concepite, tra contenimento e dispersione? L’asfalto si forma, dopotutto, dalla preservazione del materiale organico nell’acqua a basso contenuto d’ossigeno. Queste tecnologie vischiose emergono da una dispersione interrotta che risiede al momento di culminazione del flusso, tecnologie fatte di cose tenute angosciosamente in forma.
Ma quando il flusso del ciclo mestruale è disturbato, inizia ad incontrare convulsioni, il risultato è tutt’altro che «accattivante». Questa esperienza, una che va da dolorosi crampi mestruali all’agonia paralizzante, si manifesta come una serie di condizioni differenti, più comunemente dismenorrea e endometriosi. Succede quando il tessuto endometriale inizia ispessirsi e ad accumularsi all’esterno del sistema riproduttivo, il che impedisce alla secrezione di fuoriuscire come dovrebbe. Giustamente furiose per l’allucinante mancanza di ricerca al riguardo, recentemente ci sono stati alcuni movimenti nella scrittura contemporanea che hanno trattato la complessa intimità di questo flusso mestruale adesivo. Un post che è diventato virale su un blog intitolato Oh My Fucking Blog, di una donna che parla delle sue esperienze di endometriosi descrivendo la sua reologia interna straziante:
Otto giorni di contrazioni al mese per far passare coaguli di sangue grandi come mele. […] C’è così tanto di questo succo di ciclo (tessuto endometriale) prodotto ogni mese che non c’entra nel tuo utero, e piuttosto emigra, va a vivere nelle tue ovaie, nell’intestino, nella tua vescica e nelle tue tube.
E questa roba è appiccicosa.
È come incollarti le dita con la supercolla, ma ancora di più come incollarti le ovaie all’intestino con gli ormoni in eccesso.
Ovviamente le ovaie sono come pianeti. Non stanno solo lì a covare le uova. Si trovano sulla traiettoria della zona pelvica per tutto il ciclo. Ruotano. E mentre ruotano ti arrovellano le viscere. La parte bassa del colon è al momento bloccata. Non intendo solo dire che non hai fatto la cacca per qualche giorno, ma che sei stata sei notti in ospedale perché non puoi nemmeno scoreggiare, non caghi da tre settimane e che sei gonfia come Violetta Beauregarde del cazzo.
Adesioni. Ecco come le chiamano, quando i tuoi organi s’incastrano tra di loro. Quando le tue tube s’appiccicano alla tua vescica e vivi con un’infezione del tratto urinario perpetua, pisci fiamme dell’inferno dall’uretra ogni giorno. [3]
Ovviamente le ovaie sono come pianeti. Questa non è una continuità immaginata tra le superfici del pianeta e della pelle, ma la letterale sensazione di contenere dei pianeti, una sensazione così intensa che la loro natura planetaria risulta ovvia. Tantomeno è un’affinità speciale tra il corpo della donna e idee di sistemi astrologici. No. I tuoi organi si muovono dentro di te così come i pianeti tracciano le loro orbite, sposando materia dietro di loro. Per un’altra scrittrice, Thea Smith, l’esperienza dell’endometriosi comprende un collasso simile in scala, il corpo diventa planetario attraverso una sintonizzazione soggettiva alle attività delle cose che si accumulano, e si appiccicano in maniera incontrollabile. Come descrive Smith, l’endometriosi è «la formazione di grumi di sangue in aree esterne al sistema riproduttivo». Ma la sua scrittura scorre come un montaggio verso racconti disincarnati di movimenti planetari:
Un pianeta embrionale, un pianetesimale, inizia una raccolta di granelli di polvere che collidono e rimangono uniti.
[…]
Il suo nucleo è una massa ribollente di gas instabili, non solidi, e comunque una massa unica e coerente. [4]
Qui, nel racconto cosmico di Smith e delle sue mestruazioni, penso che abbiamo una descrizione precisa del mondo appiccicoso. Un qualcosa che manca di stabilità, che non ha componenti solide, ma che comunque si tiene insieme in qualche modo. S’appiccica, aderisce.
Ciò che caratterizza questa scrittura sull’endometriosi è il modo in cui riesce ad essere esplicita senza diventare cruenta. È una scrittura, appunto, che ci ricorda quanto solitamente sia poco esplicito il sangue. L’intenzione non è di stomacare, ma di essere dettagliate, per portare l’attenzione su un incontro intimo con le dinamiche materiali di una condizione specifica, piuttosto che scuoterla in una consapevolezza frettolosa e in preda al panico: «oh dev’essere terribile per te». Soprattutto abbiamo due presentazioni di un corpo con il ciclo mestruale che non parlano di flusso, ma di collosità. È un accumulo che la società fa difficoltà a maneggiare, non del corpo che sposta il fluido da dentro a fuori.
La scrittura espone il corpo in una condizione specifica di dolore causato da questa collosità, che in un certo senso è una posizione di vulnerabilità, il corpo soggetto a forze oltre il suo controllo, forze che sembrano sublimi, non-umane nella loro intensità. Ma questa vulnerabilità contiene anche una strana accettazione planetaria, che possiamo chiamare forza: il potere di fissare questi processi direttamente alla luce, descriverli con un’attenzione al dettaglio forense. Per queste scrittrici esiste solo un semplice fatto: questa collosità deve essere descritta, e descritta in un certo modo.
[1] Tacito (2013), Tutte Le Opere (ebook), Roma: Newton Compton Editori, p. 2194.
[2] Tacitus, The Histories, trans. W.H. Fyfe (Oxford: Oxford University Press, 1997), 237.
[3] Il post originale su Oh My Fucking Blog, June 2, 2017, http://www. facebook.com/ohmyfluffingblog/, è stato cancellato. Se ne trova una copia qui: Mel Bartel, Facebook, June 12, 2018, https://www.facebook. com/MelroseBartel/posts/1735082299873957.
[4] Thea Smith, “Red From Fire,” RCA Writing, http://criticalwriting.rca.ac.uk/ uncategorized/red-from-fire/.
Freddie Mason è scrittore, ricercatore e filmmaker e vive a Londra. Ha ricevuto il suo dottorato nel 2019 al Royal College of Art, sulla storia e i futuri dei semi-stati. Prima di The Viscous, ha pubblicato Ada Kaleh (Little Island Press, 2016).
ECOTONI è la sezione di CUT/ANALOGUE che apre agli immaginari provenienti da altri mondi concettuali, discorsivi, materiali, in “forma di estratto”. Funge da transizione tra ecosistemi adiacenti suggerendo spostamenti graduali, nella tensione oscillatoria dell’in-tra.