Angela Balzano
Nel suo ultimo libro, Eva virale, Angela Balzano ci conduce in un viaggio alla scoperta della vita radicata in corpi periferici e marginali, mostrando che la civiltà del sapiens si è eretta su intricati ecosistemi di batteri e virus. Utilizzando scienze e saperi considerati eretici – materialismo, biologie cyborg e fantascienza transfemminista –, suggerisce una prospettiva che non solo ci aiuta a comprendere il nostro mondo, ma ci spinge a vivere con le altre specie e non su di loro. Nell’estratto Acqua e compost: lo stretto necessario, Balzano ci offre uno sguardo su universi di interconnessione e relazioni vitali fondate sulla cooperazione (vs competizione).
Per Short Theatre 2024—VISCOUS POROSITY, all’Angelo Mai il 14 settembre, nello spazio-tempo di MERENDE – curato da Industria Indipendente con tant3 altr3 – Angela Balzano, in dialogo con Ilenia Caleo e Maddalena Fragnito, riattraversa annodamenti teorici e affettivi del libro.
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Perché ho dovuto perderti per ritrovare il bello di te?
Ma proverò a difendere lo stretto necessario che c’è.
Levante, Lo stretto necessario
Acqua e compost limite e misura se li autogestiscono, non c’è bisogno che interveniamo noi. Non ho aiutato io la lobularia maritima a spaccare il cemento a Milazzo, lo ha fatto in coalizione all’acqua, esercitando con le sue radici una pressione idraulica tale da vincere l’asfalto, in coalizione allo iodio che erode dal mare quell’infelice marciapiede che lì forse non ci dovrebbe proprio stare e che un giorno le onde finiranno per inghiottire – o forse ci arriveranno le tamerici insieme al ginestrino, come prova il Boschetto dell’Ancora che poco più avanti lotta e resiste contro l’abusivismo dei gestori dei lidi.
Ricordo la prop. XXI dell’Etica di Spinoza: nessuno può desiderare di vivere bene se non desidera nello stesso tempo di esistere in atto. La lobularia desidera r/esistere, come lo desiderava SiSo, ma non trasforma questo desiderio di r/esistenza in un pericolo per tutte le altre specie del pianeta. E qui l’antropomorfizzazione non ci è molto utile, ci è più utile la piantimorfizzazione: immaginate il nostro divenire pianta, divenire radice che spacca materialmente bio/tecno/zoecapitale. Le piante stanno trovando le loro strategie, in simbiosi con funghi/batteri/alghe/virus, mentre pensano alla loro riproduzione la compostano con quella di molte/i altre/i: sono più in grado di molti sapiens di «avere relazioni e stringere tra loro legami». [1] I sapiens, in particolare alcune multinazionali come il preoccupante gruppo Monsanto-Bayer, stanno deforestando il pianeta e espropriando/colonizzando/sterminando i popoli che con le foreste convivevano. Perché mai dovrei proiettare sulle piante dei tratti peculiari dell’umano, mi pare si tratti qui di sederci ad ascoltarle ed esercitarci a mimarle. Chi ritiene che stia antropomorfizzando le piante nel definirle intelligenti si è forse perso molte evidenze scientifiche, [2] non faccio altro che riconoscer ciò che è loro dovuto: sono comparse sulla Terra 460 milioni di anni fa, da sempre ce la fanno con le rocce, perché ora non dovrebbero saper trovare le loro strategie per sopravvivere al cemento? Noi, invece, come pensiamo di voler vivere oggi? Resto attaccata alla proposizione XXIII dell’Etica: non esistiamo né prima né dopo il corpo, la nostra eternità è il presente. La questione è come intendiamo viverlo, se cooperando tra le specie e tra noi o competendo tra noi e contro tutti gli altri esistenti.
Batteri, virus, mammiferi e piante scelgono spesso la simpoiesi, la cooperazione, non l’autopoiesi né la competizione. Non risulta ancora che i cetacei si siano dotati di scienze capaci di allungare la loro vita a scapito di quella di altre specie, tutt’altro: abbiamo visto che un capodoglio morendo diventa il compost marino in cui si rigenerano e riproducono moltissime altre forme di vita, esattamente come i rami, le foglie caduche o l’intera pianta che muore diventano l’humus in cui sguazzeranno i lombrichi tanto cari a Darwin. [3] Il punto non è che si vogliono sempre tutte e tutti bene, simbiosi non significa amore incondizionato e il divenire compost non è un processo che promette salute eterna: il capodoglio è ghiotto di calamari e a un certo punto muore. Siamo parte di una naturacultura dove accadono eventi terribili, il modo in cui i capodogli dell’Atlantico uccidono i calamari giganti si direbbe tale, ma sarebbe arduo sostenere sia dannoso quanto il modo in cui gli uomini uccidono la stragrande maggioranza delle forme di vita sul pianeta. La natura, di cui sempre dobbiamo ricordarci di essere parte, non è una naïve perennemente innamorata né una cinica molto aggressiva, è un groviglio di disposizioni/affetti contrastanti dentro il quale provare a stare senza arrecare troppi danni. Se in questo groviglio c’è chi è capace di cooperare e dunque di vivere meglio insieme, io prendo modestamente appunti e non credo questo mi porti a ricadere né nel determinismo biologico né nell’essenzialismo, dal momento che non mi interessa trarre verità universali dalla natura o ridurla a un insieme di leggi statiche, «non mi interessa pattugliare i confini tra natura e cultura, al contrario, mi sono costruita nel traffico che li attraversa». [4] Mi interessa ribadire che è inaccettabile che una parte della natura (leggi: i sapiens) prevalga su tutte le altre a mezzo di assoggettamento e sfruttamento.
Fare la rivoluzione nella nostra riproduzione non significa per me «fare come la natura» o «tornare alla natura», perché se natura siamo anche noi questo può voler dire non far proprio nulla o non saper dove tornare se non dove si è partite. Si tratta piuttosto di fare una parte nella natura, meglio ancora, si tratta di prendere parte nella natura: una parte tra tante/una parte tra pari, una parte dalla parte delle parentele. Fare parentele, non popolazioni è un buon modo per fare la rivoluzione nella riproduzione, cioè per farla finita con l’ossessione riproduttiva umana a scapito di quella non umana, perché come spiega Clarke: «la distinzione umano/non umano è una cosa che molti esseri su questo pianeta non fanno, vedendo e percependo invece le continuità dell’essere attraverso approcci non illuministici e non secolari, come nel caso del cosmopolitismo indigeno». [5]
È Ruha Benjamin che ringrazio per averci offerto una definizione di parentela che fa prender fiato: «Le parentele sono il risultato di un processo creativo che ha lo scopo di rimodellare cura e reciprocità». [6] E questo mio modesto tentativo di fatto non ha altro scopo se non quello di partecipare a un processo creativo che rivoluzioni cura e reciprocità, perché non fin dal livello zero, fin dalla riproduzione. [7] Ancora ci tocca assistere, infatti, al triste spettacolo di donne e uomini cis-etero ricche/i e bianche/i che raccontano la menzogna del calo delle nascite, dell’apocalisse della fertilità, e che occupando i privilegiati posti del potere normalizzano&normano nella direzione della riproduttività etero&bianca i nostri corpi. Non uso a caso normalizzare&normare: purtroppo le norme di genere sono spesso culturali&giuridiche, come accade in Italia, dove non solo l’aborto non è un diritto ma una concessione irta di insidie dello Stato, ma anche l’adozione e le tecnologie riproduttive sono negate a chi non sta nel recinto della coppia monogama-cis-etero. Guarda caso è proprio chi legifera e/o governa in senso neofondamentalista ad appellarsi alla natura per ristabilire un ordine in quel favoloso caos che è la sessualità: la donna-madre-per-natura-devota-alfigliopadrefocolare, l’uomo-lavoratore-per-natura-cheportailpaneacasa. Solo che noi sappiamo che questa natura a cui si appellano è culturalmente costruita, a meno da non voler considerare cavallucci marini e diatomee qualcos’altro dalla natura. In natura ci sta tanto la costruzione binaria dei generi, in quanto prodotto culturale di una specie tra tante (quella cui ancora appartengo, si direbbe), quanto la molteplice e polimorfa sessualità di tutte le altre (non meno co-costruite socialmente delle nostre). [8]
Vale lo stesso per cura e riproduzione: i modi in cui possiamo rimodellarle sono potenzialmente infiniti. Se per secoli in Occidente ci siamo ispirati al modello cristiano fino a renderlo norma economica e giuridica, se per secoli ci siamo tenuti l’Uomo come apice/centro/soggetto/beneficiario di scienza/diritto/economia/politica…ora non abbiamo scuse, ci sono altri modelli. C’è ad esempio «l’approccio femminista nero al postumanesimo» che «non punta all’inclusione degli oppressi nell’ovile dell’umanesimo (liberale e occidentale) […], ma all’abolizione di un genere particolare, “l’Uomo”, affinché́ altri modi di essere uman* possano venire alla luce». [9]
C’è anche «il postumanesimo gelatinoso» di Stacy Alaimo, che definisco «neo-materialismo da “(a)mare”», ad aiutarci a tessere le nostre parentele marine e a ricentrare i nostri comuni sensi di misura e limite. [10] L’idro-femminismo [11] torna all’acqua perché in immersione ci ritroviamo in intra-azione e ripensiamo le condizioni della nostra evoluzione, passata e presente, del nostro divenire intra e transpecie. Il mare ci scorre dentro e noi qui che ci diciamo persone umane veniamo tutte dalla pancia di una balena. La trans-corporeità è cosa di mare, è un flusso di divenire transpecie in cui tutti i corpi si vivono in contaminazione e in condizioni di permeabilità perenne. Per questo con Alaimo rileggiamo Darwin in chiave postumanista per ricordarci come la nostra genesi sia fluidamente transpecie, da sempre interrelata al divenire degli ecosistemi marini. Quanto piacere da riscoprire c’è nelle trans-corporeità queer che smuovono le acque? Lo riconosce persino Darwin che è piacevole il ritrovarsi in luoghi umidi e il muoversi in modi fluidi: «Il nostro antenato era un animale che respirava acqua, aveva una vescica e una grande coda natatoria, un cranio imperfetto e, senza dubbio, era ermafrodita! Ecco una piacevole genealogia per il genere umano». [12]
La nostra storia evolutiva occorre raccontarla ancora una volta re-iscrivendo le nostre parentele via via dal molare al molecolare. Solo così la biologia smette di essere binarismo di genere e si trasforma in fantascienza transfemminista. Se per Alaimo sua «madre è un pesce», mio nonno è un capodoglio, la mia bisavola è «l’ichthyostega non-più-pesce ma non-ancora-salamandra» che «striscia dall’oceano amniotico verso il futuro» [13] e la mia trisavola è l’Emiliana huxleyi che si imparenta ai virus per riprodursi. Troppo spesso l’accento del neo-darwinismo ricade sull’antropocentrismo individualista, per questo Alaimo insiste sull’esaminare le narrazioni delle «origini acquatiche del (post)umano», trovando un Darwin che potremmo mettere in dialogo con la teoria dell’endosimbiosi e che ci aiuta a ricollocarci e mantenerci in basso, nelle profondità degli oceani, dove è del tutto inutile cercare la «madre terra» e il suo figlio prediletto, l’uomo, dove è vano ogni tentativo di recinzione nonostante industrialismo e privatizzazione.
L’acqua non è «né pubblica né privata, appartiene alla sfera dei beni comuni» [14] e materialmente su questa Terra il suo fluire senza argini ha fatto la vita. Se vogliamo com/pensare grande accelerazione umana e sesta estinzione occorre ancora una volta seguire il principio della sottrazione, riconoscere che gli ecosistemi acquatici «devono essere lasciati da soli il più possibile» e che «l’acqua deve scorrere libera» [15] dall’uomo.
[1] Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata, UTET, Torino 2005, capitolo XII parte IV, p. 334.
[2] Tra le “evidenze scientifiche” circa l’intelligenza delle piante segnalo le ricerche di Monica Gagliano, riassunte nel suo volume Così parlò la pianta (nottetempo, 2022).
[3] La traduzione di Vibrant Matter di Jane Bennett mi ha riportato al Darwin che scriveva: «I lombrici hanno avuto nella storia del mondo una parte molto più importante di quello che molti possono pensare» (Charles Darwin, La formazione della terra vegetale per l’azione dei lombrici, 1882, p. 127). Cfr. Jane Bennett, Materia vibrante. Un’ecologia politica delle cose, Timeo, Palermo 2023.
[4] Donna J. Haraway, Ritornello: Fantascienza, finzioni della scienza e primatologia, in Marco Armiero, Federica Giardini et altr. (a cura di), Environmental Humanities, DeriveApprodi, Roma 2021, p. 250.
[5] Adele Clarke, Introdurre Making Kin. Fare parentele, non popolazioni, in Adele Clarke, D. Haraway (a cura di), Making Kin. Fare parentele, non popolazioni, DeriveApprodi, Roma 2022, p. 8.
[6] Ruha Benjamin, BlackAfterLives Matter: coltivare la pienezza di parentele per la giustizia riproduttiva, in Adele Clarke, Donna J. Haraway (a cura di), op. cit., p. 77.
[7] Silvia Federici, Il punto zero della rivoluzione, Ombrecorte, Verona 2020.
[8] Su questo nodo consiglio la lettura di Queer Ecologies. Sex, Nature, Politics, Desire, a cura di Catriona Mortimer-Sandilands e Bruce Erickson, Indiana University Press, Bloomington, 2010. Illuminante anche Sterling che spiega come i pesci pulitori siano capaci di cambiare sesso in base al contesto sociale: “se il maschio sessualmente attivo muore, la femmina più grande percepisce il cambiamento di contesto e in pochi giorni si trasforma in un maschio riproduttivamente attivo” (Anne Fausto-Sterling, Sex/Gender. Biology in a Social World, Routledge, New York 2012, pp. 13-14).
[9] Ruha Benjamin, BlackAfterLives Matter: coltivare la pienezza di parentele per la giustizia riproduttiva, in A. Clarke, Donna J. Haraway (a cura di), cit., p. 62.
[10] Angela Balzano, Tra le pieghe di Alaimo. Protesta e piacere, in Stacy Alaimo, Allo scoperto. Politiche e piaceri ambientali in tempi postumani, a cura di A. Balzano, Mimesis, Milano 2024.
[11] Dobbiamo ad Astrida Neimanis il conio di questa felice espressione che approfondisce nel suo Bodies of Water. Posthuman Feminism Phenomenology, Bloomsbury, London 2017. In italiano è possibile leggerne l’introduzione nel volume di Antonella De Vita, Corpi d’acqua. La svolta idrofemminista di Astrida Neimanis, UniorPress, Napoli 2021.
[12] Qui Stacy Alaimo cita Darwin da Carl Zimmer, At the Water’s Edge: Fish with Fingers, Whales with Legs, and How Life Came Ashore but Then Went Back to Sea, Simon & Schuster, New York, 1998, p. 23.
[13] Donna J. Haraway, Le promesse dei mostri. Una politica rigeneratrice per l’alterità inappropriata, DeriveApprodi, Roma 2019, p. 63.
[14] Stefania Barca, Enclosing Water. Nature and Political Economy in a Mediterranean Valley, The White Horse Press, Cambridge 2010, p. 144.
[15] Ivi, p. 142.
Estratto da Angela Balzano, Eva virale. La vita oltre i confini di genere, specie e nazioni, Meltemi, Milano 2024, pp. 124-130.
Angela Balzano è ricercatrice e docente presso il Dipartimento di culture politica e società dell’Università di Torino e attivista eco/cyborg/transfemminista determinata a stare con le mani dentro il compost almeno quanto sta seduta davanti al suo laptop. Tra le altre, ha curato le traduzioni di Materialismo radicale (2019) di Rosi Braidotti e Le promesse dei mostri (2019) di Donna Haraway. Per Meltemi ha già scritto Per farla finita con la famiglia (2021).
ECOTONI è la sezione di CUT/ANALOGUE che apre agli immaginari provenienti da altri mondi concettuali, discorsivi, materiali, in “forma di estratto”. Funge da transizione tra ecosistemi adiacenti suggerendo spostamenti graduali, nella tensione oscillatoria dell’in-tra.
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Articoli collegati:
Astrida Neimanis, Hydrofeminism, «CUT/ANALOGUE» Ecotoni, 22 ottobre 2022.
Valeria Cirillo, Compost come laboratorio. Per “stare a contatto con il problema”, «CUT/ANALOGUE» Viandanze, 5 ottobre 2022.
Annalisa Sacchi, We Are All bodies of Water, «CUT/ANALOGUE» Viandanze, 22 agosto 2022.