ECOTONI

Restare Barbari. I selvaggi all’assalto dell’impero

Louisa Yousfi
Traduzione di Anna Curcio
Le pagine di Louisa Yousfi (1), autrice francese di origini algerine, si fanno spazio di rivolta e riluttanza contro la violenza delle politiche assimilazioniste francesi, europee, lasciti della cultura imperialista. Nel suo Restare barbari e nel passaggio che segue, chiarisce come e perché le vite delle persone non bianche sono considerate inferiori. Afferma la fine del mito integrazionista repubblicano secondo cui nerə e arabə sono diventatə francesi e si sono ritagliatə un posto nella società, per dipanare le ragioni della violenza e introdurre prese di parole resistenti, come quelle del rap delle banlieue parigine.
Louisa Yousfi presenta il suo libro a MERENDEXSHORT, per la serata conclusiva di Short Theatre 2023.


L’imbarbarimento è un processo di integrazione. In che modo questa espressione si discosta radicalmente dalle pessime argomentazioni che attribuiscono la violenza dei barbari allo scempio prodotto dal sistema razzista? Diranno che stiamo cavillando come ogni volta che cerchiamo di parlare della nostra dignità. Ma la differenza è davvero sostanziale. È persino un contro-senso. Dire che l’imbarbarimento è un processo di integra-zione non significa sociologizzare le ragioni dei nostri mostri interiori, tracciando la genealogia di tutte le nostre carenze in termini di civilizzazione, ma vuol dire: i nostri mostri non nascono da una mancanza di voi ma da un eccesso di voi – troppa Francia, troppo Impero. Nascono al vostro contatto ed è sempre al vostro contatto che prendono forma e, poco a poco, determinano la loro missione (auto)distruttiva. Ecco perché né voi né tutto ciò che proponete come narrazione della salvezza indigena attraverso l’integrazione può davvero salvarci. Nulla di questo mondo può salvarci, non solo perché una cosa non può essere al contempo il veleno e la sua cura ma anche perché non siamo noi a dover essere salvati. È la famosa storia dei sani di mente in un mondo di pazzi. Quando il mondo è malato, quelli che hanno bisogno di essere guidati non sono coloro che resisto-no alle sue leggi ma tutti gli altri. Al fondo dell’abisso identitario che ci impone la civilizzazione, non siamo più noi a dover essere compatiti. Cogliamo meglio le nostre possibilità: noi stiamo bene ma loro? Immaginate di essere al loro posto, gli eredi dell’Impero… Solo per pochi secondi. Tutti i demoni della Storia cadrebbero sulle nostre teste in un colpo solo. Figli di nazisti! Figli di coloni! Figli di schiavisti! Figli di genocidi. Gli studi culturali sulla loro razza – i white studies – parlano solo dei loro privilegi. Questo è fondamentalmente ingiusto. Parliamo anche di tutto ciò che gli manca. A partire dai valori di cui ancora oggi rivendicano l’originale produzione: l’umanesimo, l’universalismo, la democrazia, la fraternità, la libertà d’espressione… Si può quasi capire perché c’è chi preferisce abbracciare con orgoglio il crimine. Dopotutto, tenersi stretti i propri difetti è anche una questione di onore. Vai a sapere cosa passa per la loro testa. L’imbarbarimento dell’Europa non è solo un racconto, ci ricorda Césaire.

Ah, li sento avanzare! Dicono: quando siete brutti è un riflesso della nostra stessa bruttezza ma quando siete belli è la vostra stessa bellezza. Bell’affare!

In qualche modo hanno ragione e non posso fare a meno di sorridere quando li immagino prenderci in parola e scaldarsi per difendere il loro stesso onore. Sono commoventi nella loro insistenza. Perché anche loro tengono alla loro bellezza. Non capiscono che abbiamo un bisogno vitale di questo trip dell’ego decoloniale. Abbiamo bisogno che ci inebri di orgoglio, abbiamo bisogno che la nostra bellezza venga esaltata, iperbolizzata. Il nostro bisogno di essere fieri è impossibile da saziare. Questa narrazione, ritagliata lungo i bordi per soddisfare quella che chiamano indulgenza comunitaria, è una menzogna che dice la verità. Bisogna lasciare che colonizzi i nostri cervelli perché è l’unica in grado di competere con le forze narrative dell’Impero. L’unica che offre una fonte di luce per i nostri figli, che indica una direzione, un orizzonte. L’unica che dobbiamo seguire. Né larva né mostro. «Oh, cari miei, statemi a sentire. Laggiù, non amano il vostro collo, bello dritto senza cappio. Perciò amate il vostro collo, metteteci una mano sopra, trattatelo bene, carezzatelo e tenetelo dritto»(2).

Che i civilizzati evitino dunque di insistere sul nostro destino. Siamo noi che dovremmo piangere per loro. Siamo noi che possiamo salvarli. Non è mai successo il contrario, in nessun modo e in nessun momento della storia. Ci sono delle sfumature? Ma dai, da quando si preoccupano delle sfumature? Ovviamente, dal momento che vanno a loro favore. In Amatissima, Paul D. ha per loro una risposta. Sethe, ex schiava, gli racconta che una ragazza bianca l’ha «aiutata» a fuggire. Paul D. l’interrompe e la riprende. Non dire mai così, evidenzia le sfumature, è stata lei a essere salvata. Quando i civilizzati tradiscono la loro razza a favore dei barbari, stanno cercando la loro stessa salvezza, la loro stessa bellezza. E Dio sa quanto sia bella la loro bellezza quando appare; Dio sa come sappiamo riconoscerla e come sappiamo piangere la memoria di tutti i Fernand Iveton e Maurice Audin. Sì, esiste una storia di dignità bianca e, proprio in quanto dignità, non si affanna a sfumare la narrazione barbara della colpevolezza bianca. Illumina la storia di un padrone che ha imparato dal suo servo lo stadio più alto della dialettica: quando è lo stesso servo a insegnare al padrone il significato della libertà. Non solo della sua, negata e disprezzata, ma anche di quella del padrone, alienata in un rapporto destinato alla reciproca distruzione. Paradiso per tutti oppure inferno per tutti.


NOTE

(1) L. Yousfi, Restare Barbari. I selvaggi all’assalto dell’impero, trad. it A. Curcio, DeriveApprodi, Bologna, 2023, pp. 29-32
(2) Morrison, Amatissima, cit., p. 125.


Jane Bennett, filosofa e teorica politica, insegna alla Johns Hopkins Univesity School of Arts and Sciences. Editor della rivista “Political Theory” dal 2012 al 2017, è tra le maggiori teoriche del materialismo vitale, nota per il suo lavoro su natura, etica e affetti.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo The Enchantment of Moden Life: Attachments, Crossings and Ethic (Duke UP 2010) e il seminale Vibrant Matter. A Political Ecology of Things (Duke UP 2010), di recente uscito in italiano per i tipi di Timeo.


ECOTONI è la sezione di CUT/ANALOGUE che apre agli immaginari provenienti da altri mondi concettuali, discorsivi, materiali, in “forma di estratto”. Funge da transizione tra ecosistemi adiacenti suggerendo spostamenti graduali, nella tensione oscillatoria dell’in-tra.

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