di Ilenia Caleo
Sintomatologie—The Dancing Plague
Il 14 luglio del 1518 si verificò a Strasburgo uno strano caso: una donna, di nome Frau Troffer, cominciò a ballare nelle strade della città. Senza musica né ragione, Frau Troffer continua a danzare per giorni, in trance, interrompendosi solo quando crolla a terra, per poi ricominciare. In una settimana, altre trentaquattro persone vengono “contagiate” e cominciano a ballare. È l’inizio di una vera e propria epidemia, che in poco tempo contagia centinaia di concittadini, donne per lo più – non riescono a smettere di ballare, fino a urlare e far sanguinare i piedi. Dopo giorni e notti di danze incontrollabili, i danzanti iniziano a morire: infarti, crisi cardiache, ictus, fame, colpi di calore. Ci saranno più di quattrocento morti. All’inizio di settembre, i danzatori folli vengono deportati e internati, e l’epidemia si arresta misteriosamente, così come era cominciata.
Il caso di Strasburgo fece scalpore nell’Europa del Cinquecento, segnata da crisi economiche, pestilenze, carestie, paure sociali. Un anno prima, nel 1517, Lutero aveva inchiodato sulla porta del duomo di Wittenberg le 95 tesi: il volantino che ha avuto più conseguenze nella storia dell’umanità. Ancora, nella primavera del 1517, i conquistadores spagnoli apparvero ai Maya nella penisola dello Yucatàn.
L’ipotesi formulata all’epoca per spiegare l’epidemia di danza collettiva è basata sulla teoria degli umori: la causa viene attribuita al prevalere di uno dei quattro umori di base, tendente all’eccesso di sangue, che presiedeva al temperamento detto “sanguigno”, o “sangue caldo”. Un surriscaldamento sociale della temperatura del sangue nei corpi.
Le passioni possono assumere molte forme. Sono contagiose. Si diffondono, si tramandano. Circolano, hanno un valore, si scambiano, sono cioè sottoposte a un regime di economia di scambio. Corpi umani e non umani, affetti e forze naturali, vivente e non vivente, mondo e soggetti. Composizione, collisioni e transizioni, i corpi si combinano tra loro in assemblaggi continuamente variabili. Organici o inorganici, naturali o artificiali, i corpi sono tutti affettivi (1). Materie vibranti, politiche affettive.
Turbolenze / turbinii / frizioni
Nell’introduzione di Vibrant Matter. A Political Ecology of Things, Bennett mette in luce da subito la dimensione conflittuale dell’ontologia materialista, che intende – spinozianamente – la materia vitale come sostanza del mondo. La materialità è anche il campo di irrequietezza in cui diverse materie, forze e intensità collidono tra loro, si coagulano, divergono e si sgretolano, in una continua instabilità (2). Il neomaterialismo femminista, mettendo in discussione le divisioni tra umano e animale, tra vivente e non vivente e attribuendo capacità agente, espressiva ed affettiva anche a enti non umani, prende però le distanze da una visione unitaria, pacificata, omogenea.
In polemica con alcune versioni edulcorate di deep ecology e di ambientalismo ecosofico, Bennett sottolinea che la sua prospettiva monista «non pone né un’armonia liscia tra le parti né una diversità unificato da uno spirito comune» (3). Su un piano di teoria politica, la filosofa Federica Giardini lega a doppio nodo passioni e crisi: «i momenti di crisi consistono innanzitutto nella smobilitazione di soglie, partizioni, confini così come erano invalsi fino a quel momento nell’articolare la vita associata e il suo senso. Quanto alle passioni come componente antropologica, la crisi le strappa alle considerazioni che sarebbero di sola competenza della psicologia o della morale» (4).
Quando le passioni si presentano con violenza sulla scena, divengono perciò un sintomo e uno strumento privilegiato per leggere le crisi e i conflitti. Il continuum naturacultura proposto da Bennett e da altre pensatrici femministe non implica l’identico, bensì, al contrario, una continua produzione di differenze, di soglie di intensità variabili, e dunque: di conflitto, di frizioni, di collisioni. Nessun ideale di armonia o di staticità. È dalle collisioni, dagli urti con gli altri e con gli oggetti, che ciascuna/o forma il senso di sé e del proprio corpo, dove inizia e dove finisce (5).
A dare peso e contorni precisi a questa conflittualità e instabilità possiamo utilizzare il concetto di turbolenza elaborato da Michel Serres nella sua rilettura del De Rerum Natura di Lucrezio. La turbolenza è un concetto tridimensionale che convoca simultaneamente diversi ordini del discorso: è turbine fisico, gorgo e spirale di flussi di particelle, perturbazione atmosferica di elementi meteorologici, che variando producono sconvolgimenti e fenomeni di annuvolamento, tempeste, temporali, etc., a cui corrisponde il turbamento dell’animo, come stato di alterazione psichica provocato da fattori emotivi. E ancora turbolenza politica come rottura dello stato di quiete o di equilibrio, rivolgimento, tumulto. Serres rovescia l’idea di un ordine preesistente che la turbolenza arriverebbe a turbare, introducendovi una fase di disordine. In questa visione, il disordine emergerebbe dall’ordine come un fattore accidentale ed estrinseco, ma secondo Serres è vero piuttosto il contrario: è dalla condizione di agitazione fluttuante, dal ribollìo di gorghi e turbolenze e volute e vortici che emergono possibili combinazioni provvisorie di stabilità, di ordine. Il paradosso della turbolenza – è l’ordine che è un’alterazione, è la fluttuazione che garantisce la possibilità di continue transizioni:
C’è una certa distanza tra turba e turbo. La prima indica una moltitudine, una grande popolazione, la confusione e il tumulto. È il disordine: la τύρβη, turbé, greca si dice anche delle folli danze nelle feste in favore di Bacco. Ma il secondo termine indica una forma rotonda in movimento, come un paleo o una trottola, cono che gira o spirale vorticosa. Ecco che già non si tratta più di disordine, anche se la tromba è vento, acqua, temporale. In realtà il movimento che gira su se stesso e si sposta è quello degli astri, del cielo, ora e all’origine. Il mondo nella sua globalità può essere tradotto in un modello a turbini. (6)
Melancolie / turbamenti / perturbazioni
Nel 1638 Robert Burton scrive un testo-collezione dalla grande fortuna letteraria, frutto della sua ossessione compilativa e del suo temperamento piuttosto dark, dal titolo Anatomia della malinconia (7): il cadavere vivisezionato qui è un sentimento. La malinconia affligge non solo corpi individuali, ma anche corpi collettivi: malinconia delle famiglie, malinconia degli Stati. Per gli Stati, la cura della melanconia è l’utopia. Alla svolta della modernità, queste teorie sono state liquidate come residui prescientifici — ma, osservate oggi sotto la lente del pensiero femminista degli affetti, possiamo riconsiderarle come visioni che decentrano il soggetto e l’umano. Il vivente e il non vivente risultavano regolati dalle stesse intensità. Medicina, antropologia, meteorologia. Non occorre essere umani per essere affetti da emozioni: le palme potevano innamorarsi, un vento cattivo trasportare rabbia. Il cielo, può piangere. Il mondo è impastato di affetti. L’idea di un’interiorità conchiusa, di un dentro tutto personale in cui emozioni e affetti accadono, inaccessibili, è del resto il frutto di un lungo processo di privatizzazione degli affetti, un’idea tutto sommato piuttosto recente.
Riprendendo la lezione del Barocco, con le sue mappe sempre aggrovigliate del reale, Shelley Jackson, scrittrice e artista, scrive The Melancoly of Anatomy (2002), una raccolta di racconti che con il titolo di Burton fa una capovolta dell’immaginazione: Londra ha le mestruazioni, costringendo alla costruzione di sistemi di condutture e canali di scolo; fibre nervose si riuniscono, si organizzano si attorcigliano; branchi di spermatozoi vagano per i cieli americani per addensarsi sopra Lisbona; parti o liquidi del corpo (lacrime, catarri, capelli) che assumono autonomia e si ricompongono in nuovi umori, o forze della natura. Un trattato delle passioni post-romantico: «Dildo fiammeggianti, ovvero dildes fatui, conducono spesso gli uomini a cadere nei fiumi e nei precipizi, sostiene Lipsio; e se ad essi i viandanti desiderano scampare, devono pronunciare il nome di Dio con voce chiara, oppure adorarlo con il volto prono a terra. Similmente essi vanno a porsi sugli alberi maestri delle navi, e mai appaiono se non per significare che qualche genere di guaio sta per abbattersi sugli uomini» (8).
(1) Jane Bennett, Vibrant Matter. A Political Ecology of Things, Duke University Press, Durham 2010, p. xii.
(2) Ivi, p. xi.
(3) Ibidem.
(4) Federica Giardini, I nomi della crisi. Antropologia e politica, Wolters Kluvers, Milano 2017, p. 40.
(5) Sara Ahmed, The Cultural Politics of Emotion, Routledge, London – New York 2007, pp. 25-26.
(6) Michel Serres, Lucrezio e l’origine della fisica (1977), Sellerio, Palermo 2000, p. 35-36.
(7) Robert Burton, Anatomia della malinconia (1638), Marsilio, Venezia 2003.
(8) Shelley Jackson, La melanconia del corpo (2002), minimum fax, Roma 2004, p. 93.
Foto di copertina The Dancing Public di Mette Ingvarsten (c) Jonas Verbeke
Testo rielaborato a partire da alcune riflessioni contenute in Ilenia Caleo, Performance, materia, affetti. Una cartografia femminista., Bulzoni Editore, Roma 2021
Ilenia Caleo è performer, attivista e ricercatrice indipendente. Dal 2000 lavora come attrice, performer e dramaturg nella scena contemporanea, collaborando con diverse compagnie e registe/i, tra cui Motus, Lisa Ferlazzo Natoli, Davide Iodice. Filosofa di formazione, ha svolto un dottorato di ricerca tra performance studies e filosofia politica all’Università La Sapienza di Roma. Si occupa di corporeità, epistemologie femministe, sperimentazioni nelle performing arts, nuove istituzioni e forme del lavoro culturale. È ricercatrice allo IUAV di Venezia e coordinatrice del Modulo Arti del Master Studi e Politiche di Genere di Roma Tre, e collabora con il gruppo di ricerca del progetto quinquennale “INCOMMON. In praise of community. Shared creativity in arts and politics in Italy (1959-1979)”, ERC Starting Grant. Ha pubblicato il volume Performance, materia, affetti. Una cartografia femminista, Bulzoni 2021 e co-curato In fiamme. La performance nello spazio delle lotte 1967/1979, b-r-u-n-o 2021. Attivista del Teatro Valle Occupato e nei movimenti dei commons e queer-femministi, è cresciuta politicamente e artisticamente nella scena delle contro-culture underground e dei centri sociali.
ECOTONI è la sezione di CUT/ANALOGUE che apre agli immaginari provenienti da altri mondi concettuali, discorsivi, materiali, in “forma di estratto”. Funge da transizione tra ecosistemi adiacenti suggerendo spostamenti graduali, nella tensione oscillatoria dell’in-tra.