COMBIN/AZIONI

Memorie e catture

Documentare il festival
Beatrice Del Core in conversazione con CIRCA | Laura Accardo, Eleonora Mattozzi, Maria Giovanna Sodero

CIRCA è un collettivo di ricerca audiovisiva che da anni attraversa Short Theatre e racconta il festival filmando gli ambienti, le relazioni, i mondi che lo abitano. Nella vostra pratica non c’è tanto la volontà di catturare dei momenti quanto il desiderio di interrogarsi ogni volta sul modo di ricrearli attraverso un altro linguaggio. In che modo accogliete l’imprevisto, lasciate che il punto di vista della camera si sciolga nell’interazione degli universi filmati? Quali sono nodi concettuali e orizzonti operativi al centro del vostro lavoro?

Immaginiamo CIRCA come un luogo di acrobazie meravigliose che ci permette di sperimentare e mettere in discussione i nostri singoli punti di vista, dando priorità allo stare e guardare insieme. Ognuna di noi percorre parallelamente la propria ricerca personale nel campo dell’audiovisivo (spesso anche in città diverse) per creare un terreno fertile e dare forma a nuove esperienze. CIRCA è un invito continuo a restare aperte, sia rispetto ai nostri stessi sguardi, sia a quello che ci accade intorno. Insieme condividiamo l’importanza di scegliere un punto di vista forte senza il quale non è possibile inquadrare il racconto. Non è nostro particolare interesse riconoscerci in determinate forme tecniche, la nostra priorità è piuttosto farci contaminare da diverse modalità di raccontare le realtà nelle quali ci caliamo, mettere in campo e lasciare evolvere le nostre competenze, prendendoci cura di ciò che sfugge, che resta al margine, a noi caro. È anche per questo che per noi stare a Short Theatre è come essere a casa: lo sentiamo come un complice, è quel luogo del primo contatto e del riconoscimento, dove ci siamo incontrate e in cui ogni anno ci diamo appuntamento.

Vi occupate anche di un importante lavoro di documentazione. Filmate spettacoli, incontri, concerti. Che rapporto l’immagine filmica intrattiene con la memoria del festival?

Iniziamo da osservatrici, ci mettiamo in ascolto rispetto alle tematiche approfondite dal festival e al periodo storico in cui si colloca. Ci domandiamo dove si posa il nostro sguardo e sentiamo il compito di ascoltare, comprendere e rispondere con le immagini. Siamo consapevoli di muoverci in un’intersezione tra contraddizioni: dobbiamo raccontare ciò che accade in una performance attraverso un mezzo che non è quello della performance. In un certo senso le nostre camere sono degli intrusi nello spazio scenico sia per gli artisti che per il pubblico. Solitamente abbiamo solo l’occasione di una replica per poter riprendere uno spettacolo e non sempre possiamo intervenire sulla luce o sulla posizione da cui inquadriamo.

Com’è possibile restituire l’esperienza di un evento nella sua complessità, senza ridurlo a una semplice vetrina visiva, se i mezzi che abbiamo per rappresentarlo sono così limitati? La nostra strategia è di incorporare fino in fondo il nostro sguardo, che non è trasparente, e concepire le immagini che realizziamo come altro rispetto all’atto performativo. Le limitazioni nelle quali ci muoviamo ci consentono di essere molto creative e quando c’è dialogo e collaborazione con gli artisti si aprono possibilità inaspettate.

Paradossalmente la pandemia e l’assenza del pubblico dal vivo ci ha consentito di sviluppare delle restituzioni in forma audiovisiva create appositamente per ogni performance. Questa sarebbe la condizione ideale in cui lavorare, perché significa intendere l’immagine d’archivio non come un oggetto fintamente neutrale, ma di produrre discorso filmico tramite i suoi mezzi specifici. Nella contaminazione di un festival tuttavia non è sempre possibile, così interveniamo soprattutto dal punto di vista fotografico e in post-produzione. La scelta dell’inquadratura ci permette di accogliere quello che non sempre lo sguardo dal vivo è tenuto a notare, così isoliamo delle parti o le mettiamo in relazione attraverso l’immagine. In fase di montaggio abbiamo invece un margine d’azione più ampio, ci relazioniamo con il titolo, la grafica e la comunicazione del festival. È importante per noi trovare un fil rouge, che può essere un modo di inquadrare, un certo effetto o una qualsiasi tecnica anche semplice, che possa restituire informazioni in più.

Poi c’è la questione della documentazione dell’evento in sé, ovvero gli integrali. Concepiamo l’archivio come materiale di ricerca, per gli artist_, eventuali student_ d’arte o altro. Ci è capitato di non poter documentare alcuni spettacoli per libera scelta degli artist_, e questo è stato motivo di riflessione sulla politica dell’artista. In questo senso condividiamo queste scelte, in quanto non è sempre la documentazione filmica la scelta ideale per trattenere una memoria nel tempo, ma anche lo sguardo, l’ascolto, la scrittura e la parola hanno il potere di svolgere un ruolo per la trasmissione di conoscenza.

È annosa la discussione sulla documentabilità dell’effimero (e dell’immateriale) in ambito spettacolare. Recenti esperienze di lavoro archivistico hanno saputo mettere in evidenza l’importanza della documentazione non focalizzata solo dell’evento scenico. Nella creazione degli archivi è la lente relazionale sempre più essenziale a cogliere la complessità di un evento. Come vi relazionate all’idea di archivio?

Il nostro lavoro si concentra sulla documentazione integrale e il racconto degli spettacoli, filmare dettagli che sottolineano il movimento, l’essenza dell’azione, ma si occupa anche del contorno dell’evento. In questo senso cerchiamo di includere nel nostro sguardo il backstage degli spettacoli, delle persone che abitano lo spazio e le interviste agli artisti e il pubblico. Sappiamo quanto questi momenti siano preziosi, tuttavia abbiamo imparato a lavorare con strategia e velocità quindi non è sempre facile occuparsi di questo aspetto con leggerezza. In questi anni stiamo sperimentando diverse modalità per poter mantenere uno sguardo curioso.
Nel 2021 Short Theatre ci ha proposto di immaginare un laboratorio di documentazione durante il festival, e la nostra proposta è stata Staffetta. L’idea alla base è stata quella di coinvolgere student_ d’arte interessati alla documentazione per formare un piccolo staff che, con piccole linee guida e spunti di riflessione offerti da noi, è stato poi libero di curiosare, di entrare in relazione con quello che sta intorno e di arrivare dove i nostri occhi non riuscivano. Quest’anno, invece, attraverso un handycam abbiamo documentato tutta la parte di preparazione, catalogando l’archivio Kameretta, immaginandolo come un luogo intimo in cui avvengono cose invisibili, procedimento forse utile per il futuro.

 


Il lavoro di CIRCA per Short Theatre può essere seguito sul canale YouTube del festival.


COMBIN/AZIONI è la sezione di CUT/ANALOGUE delle conversazioni, spazio per un materiale che si attiva in una reciproca implicazione. Campo di possibilità discorsive che si generano come mescolanze dinamiche tra soggetti, situate in un tempo, contingenti.


ph. Circa

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