ECOTONI

Apticalità o del tocco come amore

Stefano Harney e Fred Moten
Traduzione di Emanuela Maltese
L’estratto qui pubblicato è parte di Undercommons. Pianificazione fuggitiva e studio nero (1), un’opera importante, tra teoria e poesia, musica e sovversione, che mette insieme tradizione radicale nera e post-operaismo, in una lingua polisemica che parla non solo alle persone razzializzate. È un’istigazione a reagire, pianificando un’azione di fuga e rifiuto.
Sottrarsi, per riorganizzarsi e difendersi, accerchiando il colonizzatore, suggerendo altre tattiche di comunanza.
Apticalità, o del tocco come amore è il passaggio finale del libro, un commiato che riapre alle possibilità antiche e nuove del sentire con e attraverso le altre, negli undercommons. Affettività radicali, contro lo spossessamento, risuonano nella radicalità simpatetica a cui aspiriamo.
Fred Moten apre Short Theatre 2023 il 3 settembre al Teatro Argentina con il poetry reading Sound the Open Secret.


Non essere mai dal lato giusto dell’Atlantico suscita un sentimento instabile, il sentimento di una cosa che turba gli altri. È una sensazione, se con essa decidi di viaggiare, che produce una certa distanza da ciò che è stabilito, da chi si determina nello spazio e nel tempo, collocandosi in una determinata storia. Essere vite deportate significa essere vite (com)mosse da altri, con altre. È sentirsi a casa con chi non ha casa, a proprio agio con chi fugge, in pace con ciò che è perseguitato, in quieto vivere con coloro che acconsentono a non essere una sola cosa. Cose fuorilegge, interdette e intime della stiva, contagio containerizzato, la logistica che esterna la logica stessa per raggiungerti, ma questo non è abbastanza per arrivare alla logica sociale, la poiesis sociale, che scorre lungo la logisticalità. Perché sebbene alcune abilità – di connettere, tradurre, adattare, viaggiare – furono forgiate nell’esperimento della stiva, non ne furono il punto essenziale. Come canta David Rudder: «How we vote is not how we party». Il terribile dono della stiva fu quello di raccogliere sensazioni di spossessamento in comune, creare un nuovo sentire negli undercommons.

In precedenza, questa specie di sentire era solo un’eccezione, un’aberrazione, uno sciamano, una strega, un veggente, una poeta tra le altre, che sentiva attraverso altre vite, altre cose. In precedenza, tranne in questi esempi, il sentire era mio o era nostro. Ma nella stiva, negli undercommons di un nuovo sentire, un altro genere di sensazione divenne comune. Questa forma di sentire non era collettiva, non era incline alla decisione, non aderiva né si riattaccava alla colonia, alla nazione, allo stato, al territorio o alla storia storica; né era riposseduta dal gruppo, che non poteva ora sentire come uno, riunificato nel tempo e nello spazio. No, quando Black Shadow canta «la stai sentendo questa sensazione?», sta chiedendo qualcos’altro. Sta chiedendo di un modo di sentire attraverso le altrə, una sensazione per sentire le altrə sentire te. Questo è il sentire insorgente della modernità, la sua carezza ereditata, la sua parola pelle, il suo tocco lingua, il suo discorso respiro, il suo riso mano. Questo è il sentire che nessun individuo sopporta e che nessuno stato tollera. Questo è il sentire che potremmo chiamare apticalità. Apticalità, il tocco degli undercommons, l’interiorità del sentimento, il sentire che quello che deve arrivare è qui. Apticalità, la capacità di sentire attraverso le altrə, affinché possano sentire attraverso te, affinché tu possa sentirlə sentire te; questo sentire delle vite deportate e stivate non è regolato, o almeno non con successo, da uno stato, una religione, un popolo, un impero, un pezzo di terra, un totem. O, forse, potremmo dire che tutte queste cose sono ora ricomposte sulla scia e nella veglia delle vite rubate. Sentire le altrə è qualcosa di non mediato, immediatamente sociale, tra di noi, una nostra cosa, e anche quando ricomponiamo la religione, viene da noi, e anche quando ricomponiamo la razza lo facciamo come donne nere, come uomini neri. Rifiutate queste cose, noi le rifiutiamo per primi nel contenuto, tra il contenuto, giacendo insieme nella nave, nel vagone merci, nella prigione, nel rifugio per migranti. La pelle, contro l’epidermalizzazione, percepisce il tocco. Gettate insieme, toccandoci, l’una con l’altra, le nostre vite hanno visto negarsi ogni sentimento, negarsi tutte le cose che avrebbero dovuto produrre sentimento, famiglia, nazione, lingua, religione, luogo, casa. Sebbene le nostre vite siano state forzate al tocco e costrette a essere toccate, per percepire ed essere percepite in quello spazio di non spazio; nonostante sentimento, storia e casa ci siano stati rifiutati, sentiamo l’una (per) l’altra. Un sentire, un sentimento con la sua propria interiorità, lì sulla pelle, un’anima non più dentro, ma lì affinché tutti possano sentirla, affinché tutte possano (com)muoversi. La musica soul è un mezzo di questa interiorità sulla pelle, il suo rimpianto il lamento per una apticalità rotta, i suoi poteri autoregolamentati l’invito a costruire ancora una sentimentalità insieme, a sentirci ancora reciproca-mente, a sentire come facciamo festa. Questa è la nostra apticalità, il nostro tocco d’amore. Questo è amore per le vite rubate, amore come vite deportate.

C’è un tocco, un sentire di cui hai più voglia, che ti libera. Il momento in cui Marx si avvicinò maggiormente all’antagonismo generale fu quando disse: «da ognuno secondo la sua abilità, a ognuno secondo la propria necessità», ma abbiamo letto questo come il possesso dell’abilità e il possesso della necessità. E se avessimo pensato all’esperimento della stiva come all’assoluta fluidità, all’informalità, di questa condizione di necessità e abilità? Se l’abilità e la necessità fossero in una costante interazione e, in realtà, avessimo trovato qualcuno che ci ha diseredato al punto che questo movimento fosse la nostra eredità. Il tuo amore mi rende forte, il tuo amore mi rende debole. E se «quello che è tra i due», il desiderio perso, l’articolazione, fosse questo ritmo, questo esperimento ereditato delle vite stivate nelle acque tormentate di carne ed espressione che potevano afferrare, lasciando andare, abilità e necessità in una ricombinazione costante. Se lui mi (com)muove, mi manda, mi mette alla deriva in questo modo, tra di noi, negli undercommons. Finché lei lo farà, lei non dovrà essere.

Chissà da dove Marx ricevette questa eredità della stiva: da Aristotele che negava il suo mondo schiavistico, o da Kant che parlava ai navigatori, o dall’autoerotismo di Hegel o, semplicemente, dal suo essere brutto, scuro e fuggitivo. Come dice Zimmy, angelo prezioso: «Sai perfettamente che entrambi i nostri progenitori erano schiavi, che non è qualcosa di cui fare ironia». Questo sentire è la stiva che (in cui) permette di spostarci (andiamo!) ripetutamente, per spossessarci dell’abilità, per riempirci di necessità, per darci l’abilità di riempire la necessità, questo sentire. Ascoltiamo il padrino e la vecchia talpa chiamarci per divenire, siano quel che siano gli anni a venire, filosofi del sentire.

Con amore, S/F


NOTE

(1) S. Harney, F. Moten, Undercommons. Pianificazione fuggitiva e studio nero, trad. it E. Maltese, Tamu edizioni / Archive Books, 2021, pp 164-167


Stefano Harney (Berkeley, 1962) è professore onorario del Social Justice Institute alla British Columbia University. Di formazione interdisciplinare, studia le questioni legate alla razza, al lavoro e all’organizzazione sociale attraverso il pensiero dell’autonomia e la teoria postcoloniale. Tra le sue pubblicazioni più importanti, State Work: Public Administration and Mass Intellectuality (Duke University Press, 2002) e, insieme a Howard Thomas, The Liberal Arts and Management Education. A Global Agenda for Change (Cambridge University Press, 2020). È attivo in diversi collettivi, tra i quali: Le Mardi Gras Listening Collective, freethought, School for Study, Ground Provisions e Anti-Colonial Machine. Harney vive e lavora a Brasilia.

Fred Moten (Las Vegas, 1962) è un poeta e teorico culturale. Insegna al dipartimento di Performance Studies dell’Università di New York. Interessato alla relazione tra movimenti sociali ed estetica nera, conduce ricerche nelle aree della teoria critica, della letteratura, dell’arte, della performance e della musica. Nel 2020 ha ricevuto il prestigioso premio della MacArthur Foundation per il suo sforzo teorico «nel creare nuovi spazi concettuali per accogliere le forme emergenti dell’estetica nera, della produzione culturale e della vita sociale». I suoi scritti degli ultimi quindici anni sono raccolti nella trilogia consent not to be a single being (Duke University Press). Vive e lavora a New York.


ECOTONI è la sezione di CUT/ANALOGUE che apre agli immaginari provenienti da altri mondi concettuali, discorsivi, materiali, in “forma di estratto”. Funge da transizione tra ecosistemi adiacenti suggerendo spostamenti graduali, nella tensione oscillatoria dell’in-tra.

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