VIANDANZE

La Vaga Grazia (La porta invisibile)

di Massimo Conti
Massimo Conti ha assistito a La Vaga Grazia di Eva Geatti a SUPERNOVA, la rassegna/happening di arti performative, curata da Motus a Rimini (Teatro Galli, 14 aprile 2023). Le sue parole accompagnano lo spettacolo a Short Theatre a Roma.

…A ghosteen dances in my hand
Slowly twirling, twirling all around
A ghosteen dances in my hand
Dancing dancing dancing all around
Here we go
There goes the moonlit man…

Nick Cave – Ghosteen

L’indefinito stupore appuntato come una costellazione. L’universo ha poco da spiegare, articolare, sezionare, di buchi neri è pieno. Avvicinare l’occhio e non provare a contare i quanti di materia discreta che viaggerebbe placida senza quella presenza oculare indiscreta. Esserci e vederli lì, e perdersi nelle traiettorie precise e inaspettate. Un rimbalzo di azioni disperse nel tempo tutte trattenute nelle pieghe della mente e rilasciate, molecole lisergiche, sovrapposizioni quantiche dei mille mondi simultanei. Quando alla fine di quella Vaga Grazia arrivano gli applausi e le cinque particelle umane si presentano in proscenio, sono sempre loro, nessuna perdita di presenza perché, finalmente, non avevano niente da perdere. Che dono essere invisibili e luminosi.
Di fronte a un titolo perfetto, niente da aggiungere, sfinire, definire, interpretare, ma divagare dormivegliante nella pancia di una barca che affronta il mare grosso. Niente è vero tutto è possibile, continuo a ripetermi annusando la saggezza vaporosa del tossico di Tangeri.

La Vaga Grazia ph Elena Liscio

Più del 70% dell’attività del cervello non riguarda la relazione con l’esterno ma le produzioni di pensieri che si rivolgono a sé stessi. Quel che rimane, il resto, una densità minore. O maggiore. Poco da sentire al vivo, molto resta nell’immagine costantemente costruita ed evaporata, sfrigolando come burro sopra una piastra. Ogni cosa è passabile in quelle maglie. Polvere o pezzi di vetro. Consistenza ed errore. La mente non si inventa forme, le produce semplicemente, bastarde. Ogni incontro è una piccola esplosione nell’universo.
Il sole è una stella nana gialla, fra qualche miliardo di anni si spegnerà esplodendo, generando un buco nero. Ovunque saremo, saremmo risucchiati in questo buco come un nuovo big bang che risputerà altrove, nel cosmo, lo stesso sistema solare. Ogni stella è l’universo. I corpi, traiettorie, visibili solo se misurati, uno ad uno negli infiniti incontri, macchie di relazione, attrazione, repulsione, inversione, sincronia singolare, ipnosi. Guardare queste relazioni nella loro semplice esistenza, resa semplice dall’esistenza perché il crinale è scomparsa e presenza simultanea. Non è un’identificazione ma la coscienza di un corpo esploso nelle sue possibilità di esistenza, visibili solo nell’esperimento, nella ricerca delle condizioni base, spazio senza tempo. Un unico piano sequenza dove i percorsi delle particelle si incontrano nella probabilità scelta da una scrittura, da un linguaggio. Il mondo è solo apparentemente continuo e materiale. In realtà, è discontinuo, quantico e cosciente. L’universo è un gioco della coscienza. Si evolve attraverso la facoltà del sentire perché il suo significato siamo noi.
Niente è vero, diceva creando mondi anali, tutto è permesso.

La Vaga Grazia ph Ilaria depari

Ho visto Kazuo Ōno negli anni novanta, due volte. Water Lilies e Ka Cho Fu Getsu. Furono due incontri con una divinità che nello splendore dei suoi novanta anni appariva a teatro, e ricordo le lacrime lungo le mie guance e la bocca aperta quando mi passò accanto nelle sue movenze tese e sospese. Fin dal primo momento ho pensato che sarei stato una di quelle poche centinaia di persone in Italia ad averlo visto dal vivo. Un sentire esclusivo quasi segreto è sempre stato quel ricordo. Una grazia concessa e pagata poche lire. Ma accanto a esso c’è un altro ricordo altrettanto indelebile e prezioso, fu quando, uno o due giorni dopo, uscendo di casa dall’appartamento che condividevo con altri studenti in centro a Firenze, mi accorsi di un signore giapponese molto anziano, appoggiato al muro con le mani dietro la schiena a prendere il debole sole di gennaio. Lo riconobbi, era ancora lui, che trasformatosi, visitava la terra degli uomini confondendosi con essi in una serena, fragile, presenza turistica. Era il tempo di altri corpi.

 


Massimo Conti vive e lavora tra Firenze e Prato. Dopo la laurea in architettura, realizza da solo o in collaborazione, installazioni, opere video, scritture, pubblicazioni di varia natura, trasmissioni radiofoniche, performance e spettacoli. Nel 1995 è tra i fondatori del collettivo artistico Kinkaleri, di cui fa ancora parte, intraprendendo un percorso di ricerca sulla scena dal vivo tra i più conflittuali del panorama italiano.

Look for me, look for me. I’m beside you, you are beside me.


VIANDANZE è la sezione di CUT/ANALOGUE delle scritture in interdipendenza dinamica con le pratiche artistiche e le opere presenti al festival (e altrove). Propone una forma di prossimità somatica tra chi osserva e chi è osservato per far balenare pensieri sul sensibile che avviene in scena.


ph Cordoba Roberto Ruiz

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