TURBOLENZE

SCREAM AS IF YOUR ORGANS WERE MADE OF GLASS

di Diana Lola Posani
Questo testo(1) rivela alcuni materiali di ricerca, associazioni, storie e genealogie delle voci che abitano l’omonima azione sonora Scream as if your organs were made of Glass, in programma a Short Theatre. Diana Lola Posani sarà presente a Short Theatre 2023 anche con il laboratorio La gioiosa permeabilità.

Un giorno qualsiasi del 1840, la principessa Alexandra Amalie di Baviera fu trovata mentre camminava lateralmente attraverso i corridoi del palazzo. Era conosciuta per la sua incredibile intelligenza e particolare sensibilità. Vestiva solo di bianco, soffriva molti colori e odori. Quando i familiari le chiesero spiegazioni sul suo comportamento, fu costretta a confessare di essersi resa conto di aver inghiottito un pianoforte a coda di vetro, quando era ancora una bambina. Il pianoforte giaceva ancora completamente intatto dentro di lei, rischiando di rompersi in mille pezzi subendo urti o movimenti azzardati.
Era vittima della Glass Delusion, una psicosi collettiva diffusa dal Medioevo fino alla fine dell’Ottocento, capace di convincere le persone vittime di essere fatte di vetro.
In An Odd Kind of Melancholy: reflections on the glass delusion in Europe, Gill Speak ne descrive le varie forme: talvolta le persone diventavano lampade, altre volte urinali, altri sfortunati invece si trovavano intrappolati in una bottiglia di vetro. Gill Speak nella sua trattazione si dilunga nell’elenco di casistiche, accennando solamente ad alcuni tra i motivi della paura di rompersi: castità, purezza, fortuna.
Viene considerata dagli psichiatri come una forma particolarmente fantasiosa di malinconia. La malinconia molto spesso, scrive Speak, è connessa alle illusioni.
L’ultimo caso registrato ufficialmente, non molti anni fa, è in un manicomio a Merenberg: una donna anonima si era convinta di essere un coccio di bottiglia.
Leggendolo mi sono chiesta di cosa potesse avere paura un coccio di bottiglia, la prospettiva terrorizzante era già risolta, lei era già rotta.
Forse c’è sollievo nel trovarsi oltre l’impatto?

Mentre la Glass Delusion raggiungeva il suo apice, un nuovo strumento musicale stava rapidamente conquistando popolarità in giro per l’Europa: l’armonica di vetro era bellissima, incredibilmente poco pratica e, per ovvie ragioni, delicata. Funzionava grazie alla forza meccanica dei bicchieri di cristallo, i cui bordi frizionati lievemente con le dita umide producevano suono. I bicchieri erano incastrati in una lunga fila tenuta insieme da un bastone di legno, che veniva fatto roteare con l’aiuto di un pedale.
La prima a scrivere in modo approfondito dell’armonica di vetro fu una donna: Anne Ford. Nel suo trattato, Instructions for Playing on the Musical Glasses, Anne descrive l’armonica di vetro come uno strumento rivoluzionario, specialmente per le donne.

Secondo la Ford le donne avrebbero tratto grande giovamento dal cantare insieme al suono dell’armonica. La voce, infatti, sarebbe stata attratta dal suono puro e trasparente e ne sarebbe stata contaminata, diventando anch’essa cristallina. La voce vetrificata incastonava la donna in un immaginario spaventosamente angelico e statico, perfettamente in linea con lo stato della donna antica, incastrata in corpetti d’osso, tumulata negli strati delle sue sottane.
La voce del femminile ideale è fragile, acuta, disincarnata e perde così fluidità, rendendo il materiale sonoro, di solito accostato all’aria o all’acqua, qualcosa di rigido.
Rigido, impeccabile, pronto a frantumarsi in cocci dolorosi.

Eppure, in realtà, l’armonica non suona affatto “disincarnata”, poiché al di là di ogni nota si sentono il tocco e il graffio di un dito contro la coppa di vetro. Più precisamente, si potrebbe dire che il suono si scompone in due parti costitutive, con il graffio “sotto” e il suono puro “sopra”, così che ogni nota si separa in traccia materiale e tono astratto. L’effetto vocale che Ford elogia deriva dalla drammatica differenza tra le gamme superiori e inferiori dello strumento. Il suono diventa sempre più debole e grossolano man mano che si scende di tono: l’effetto percussivo di “trazione” o di raschiamento si fa più marcato man mano che il suono acuto si affievolisce, e i registri più bassi producono toni smorzati la cui intonazione è muta, quasi un’eco. Solo il registro di soprano sfugge al sottofondo percussivo, suonando chiaro e simile a un flauto. Così l’armonica non è semplicemente “senza corpo”; piuttosto rende udibile il processo dello spirito che trascende il corpo, la sublimazione del suono grezzo e corporeo in voce ideale (femminile). (2)

È suggestivo pensare che la trascendenza del suono si dividesse tra una componente luminosa e brillante e il rumore di un graffio. All’azione del suonare corrispondeva una nota e una ferita e i due aspetti non potevano essere separati perché generati dalla stessa causa, lo stesso movimento.
L’armonica riassumeva in un unico suono il dolore e le aspettative spirituali nei confronti delle donne: diventare lo specchio dell’anima maschile, prestarsi ad una proiezione violenta. L’armonica inoltre aveva la caratteristica unica di permettere alla musicista di mantenere una posa, di simulare immobilità, equilibrio e silenzio.
Visivamente l’illusione era che le donne non suonassero, simili alle rappresentazioni pittoriche nelle quali si vedevano posare le dita sugli strumenti senza però premere sui tasti. Lo strumento riusciva a conciliare due desideri contraddittori: sentire le donne suonare e vederle in una posa graziosa e rilassata.
Il suonare è connesso intrinsecamente ad una sapienza del corpo, ad un coinvolgimento sensoriale, e per quanto alla musa fosse richiesta una certa maestria celestiale, il fatto che il suo corpo potesse essere deformato nel soffio, o proteso sopra i tasti di un pianoforte ricordava in modo inopportuno la sua umanità.
Inoltre, la struttura stessa dell’armonica permetteva alla principiante di evitare i suoni imbarazzanti e goffi che caratterizzano i primi stadi dell’acquisizione di una competenza tecnica. Il desiderio maschile si trovava spaesato di fronte ai primi tentativi di suonare un violino, tentativi che generavano note tremanti e stonate, che potevano continuare per anni prima di diventare attraenti.
Nel caso dell’armonica invece bastava sfiorare il cristallo rotante per generare un suono puro e preciso, senza alcuno sforzo. Questo comportava una conseguenza altrettanto significativa: l’assenza di distinzione tra la musicista amatoriale e la virtuosa.
Se con gli altri strumenti il rischio che la musicista diventasse così abile da essere rapita dal suo stesso suonare e si lasciasse trasportare in performance troppo energiche era sempre in agguato, l’armonica garantiva suoni “da salotto” e non permetteva alcun tipo di tecnicismo considerato poco femminile. L’abilità della musicista era connessa più ad un’attitudine calma e spirituale che ad una competenza corporea. Anche le performer più riconosciute venivano considerate sulla base della purezza che emanavano, più che per innovazione o espressività. La staticità permeava ogni parte dell’esibizione: il suono non variava intensità, il corpo non si muoveva, l’animo era calmo e disteso.
Nel libro Tibetano dei Morti il mondo degli angeli è accomunato a quello degli animali, perché entrambi sono confinati in uno stato di staticità. Gli animali perché incapaci di autocoscienza, gli angeli in quanto confinati nella loro apparente perfezione. L’essere umano, seppur ad uno stadio inferiore di evoluzione spirituale rispetto agli esseri angelici, è più vicino all’Assoluto, perché dotato della possibilità di mutare. La bestialità dell’angelo risiede nell’incapacità di rendersi conto che esista qualcosa di valore ancora superiore alla perfezione. Intrappolato nella sua stessa perfezione, è condannato ad un limbo pieno di grazia, senza riuscire a raggiungere quel Nulla beato che attende l’uomo illuminato.
Non stupisce quindi che alle donne venga concesso il dono più atroce: l’angelicità, intesa come impossibilità di esprimersi e mutare, di essere anche ombra.
Forse non a caso, l’altra ragione dell’associazione tra donne e armonica a vetro era una sostanza chiamata “magnetismo animale”. Una teoria del medico tedesco Franz Mesmer, il quale sosteneva che le malattie fossero generate dai blocchi di un fluido vitale che rispondeva alle stesse leggi di attrazione elettromagnetica delle calamite. Al contrario delle calamite però questo fluido non rispondeva agli effetti dei campi magnetici, ma ad altri corpi. In pratica, durante il trattamento le pazienti cadevano in un “sonno magnetico” durante il quale il dottor Mesmer faceva dei gesti per modificare lo scorrimento del magnetismo animale, riportandolo ad uno stato armonico. Inizialmente egli aveva adoperato vari strumenti per canalizzare il suo magnetismo: corde, aste metalliche, pezzi di legno e magneti, per poi capire che bastavano le sue mani. Come un direttore d’orchestra dirigeva da lontano il flusso vitale delle pazienti.

L’armonica ha avuto un ruolo di primo piano nelle sedute spiritiche e nelle sessioni mesmeriche, poiché lo strumento sembrava parlare direttamente all’anima, senza la mediazione di elementi “relazionali” come le parole, la notazione musicale o il lavoro creativo cosciente. In effetti, Mesmer affermava di produrre i suoi effetti più potenti quando improvvisava con l’armonica. Entrare nel suo studio doveva essere un’esperienza suggestiva: al centro del salotto si trovava una grandissima vasca di acqua limpida e immobile e il suono celestiale dell’armonica a vetro era onnipresente, ad ogni ora del giorno e della notte. La sensibilità femminile si prestava ad essere smossa dal suono del vetro, che si diceva riuscisse ad avere effetti curativi sul sistema nervoso, e facilitare l’operazione mesmerica di guarigione.
La stessa associazione col femminile che aveva reso l’armonica celebre, diventò già per la generazione successiva motivo di disprezzo.
La sensibilità non era pericolosamente vicina alla fragilità di nervi? Alla follia, non intesa nel senso più dignitoso riservato agli artisti e pensatori collassati sotto il peso della loro stessa genialità, ma come instabilità dovuta ad una mancanza di forza di spirito?
L’armonica iniziò ad essere odiata per le stesse ragioni per cui era stata a lungo ammirata: lo strumento suonava troppo “giovane”, immaturo per via della sua mancanza di registro basso. Coleridge si lamentava del timbro, che colpiva così tanto l’emotività da impedire all’intelletto di concentrarsi su armonia e composizione.
L’armonica segue la discesa di popolarità di Mesmer, sempre più ridicolizzato per via delle sue tecniche poco scientifiche, e conclude la sua parabola con la reputazione infangata: dall’essere un’allegoria di purezza e perfezione, diventa lo strumento della follia. Donizetti arriva a comporre una scena di Lucia di Lammermoor affidando all’armonica la rappresentazione della follia.

Mio nonno anni fa mi regalò un oggetto estremamente antico, ricordo degli anni che aveva passato a lavorare in un museo. Si tratta di un raccogli-lacrime romano, chiamato anche lacrimatoio. Il lacrimatoio è fatto di vetro e ha una forma sottile e allungata che termina con un leggero rigonfiamento sul fondo, dove si accumula il pianto. Il raccogli-lacrime stesso ricorda una lacrima, per forma e trasparenza.
Anticamente lo scopo dei lacrimatoi era raccogliere le lacrime prima della sepoltura per poi accompagnare il morto nella tomba a testimonianza del dolore che aveva lasciato. Nell’Ottocento i raccogli-lacrime erano tornati di moda e venivano utilizzati per stabilire la durata del lutto per le vedove: le lacrime venivano raccolte in piccole bottiglie con tappi speciali che permettevano una sia pur minima evaporazione del liquido così che, quando la vedova aveva pianto tutte le sue lacrime e queste erano evaporate del tutto, si considerava finito il tempo del lutto. Una stranissima clessidra del dolore.
Il vetro del mio raccogli lacrime è spesso, denso e opaco, e mentre rinnovo la meraviglia per l’aura antica che emana, gli domando se è mai esistito il vetro senza la malinconia. Mi risponde che le lacrime sono destinate ad evaporare.

Allo scadere del mio tempo di dolore, il vetro era sempre lì, ma era tornato ad essere ossidiana. L’ossidiana è il primo vetro, l’unico vetro che la natura stessa produce. L’ossidiana è materiale amorfo, duro, che contiene solo il ricordo di quello che un tempo era calore magmatico.
La mente delle donne potrebbe avere affinità con i rimasugli neri e lucidi che sono stati ritrovati ad Ercolano, quei frammenti di cervelli vetrificati, non sono che ossidiana. L’ossidiana delle lame preistoriche, del moderno bisturi. Eccola, l’aggressività perduta, che incide, apre, indaga.
Anche il vetro della mia voce si è trasformato in ossidiana nera. Lo scricchiolìo nel tempo ha preso sempre più corpo, ed è diventato un canto gutturale, estremamente basso, simile ad un ringhio o ad un ruggito. Ascoltando ci sento dentro un rumore ruvido, come se fosse una leggera percussione della glottide, e una componente di aria, tinta dal colore delle vocali. Il respiro sonoro non è così distante. Similmente a come si ottengono le schegge affilate di ossidiana tramite la percussione, allo stesso modo frammento il respiro con la glottide, rendendolo ferente e pericoloso. Il noise per me non è sfogo, ma una vera e propria nuova voce, che mi fa vibrare i denti e che ogni tanto spaventa chi la sente. Internamente è ancora un gioco di respiri, ma ora quei respiri li so abitare.
Molte donne cercano briciole di loro stesse. Chi disperatamente, chi senza farsi notare. Credo che per ognuna di noi questa ricerca implichi un percorso diverso, un materiale diverso, ma sono certa che se la sparizione è un atto singolare, la riapparizione è un atto collettivo.


NOTE
(1) Il testo è stato pubblicato il 24 novembre 2022, per il blog/network Florilegio.
(2) Sonorous Bodies: Women and the Glass Harmonica, Heather Hadlock


Diana Lola Posani è una sound artist, curatrice indipendente e facilitatrice di Deep Listening di Pauline Oliveros, certificata dalla Deep Listening Foundation. Si esibisce a livello internazionale, scrive sulla rivista A Row of Trees e nel 2022 debutta su Fango Radio con il podcast Kaikokaipuu. Il suo lavoro è stato presentato a Errant Sound (Berlino), al Tsonami Sound ArtFestival (Valparaiso), I AM UNDONE festival (Oslo), NEXTONES festival (Vald’Ossola), negli spazi dello Studio Rizoma (Palermo), al museo MACRO (Roma) e nell’esposizione di sound art MEZZ’ARIA (Pistoia). Attualmente lavora sullo spazio comune tra suono e immaginario poetico, attraverso opere interdisciplinari e poesie sonore. È la curatrice di AKRIDA, festival nomade di sound art che presenta artistə internazionalə con identità femminile e non binaria, Figure di Filo, evento sostenuto dalla Fondazione Morra, e l’evento di sound art per bambinə CRIATURE.


TURBOLENZE è la sezione di CUT/ANALOGUE delle tracce, traiettorie, tragitti in forma di note, contrassegni, chiose dei/delle artist_. Assemblaggi agitati dalla creazione, diventano luogo di transito nello scintillio irrequieto e mescolato del fare.

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