conversare con Marie Moïse e Mackda Ghebremariam Tesfau’
a cura di Silvia Pelizzari
Memorie da Sottopelle è il laboratorio di coreo/grafie decoloniali, nato all’interno del progetto Decolonizzare il sapere. Pratiche di femminismo antirazzista, da un’idea di Marie Moïse e Mackda Ghebremariam Tesfau’. È parte di Reciprocity, sezione di Short Theatre che sperimenta modelli di reciprocità e saperi attraverso pratiche corporee, innesti narrativi e universi ludici.
La pratica delle partecipanti di Memorie dal Sottopelle prevede un attraversamento delle parole di autrici razzializzate come Grada Kilomba, Djamila Ribeiro, Rahma Nur, Carla Akotiren, a partire dai loro libri pubblicati dalla Casa Editrice Capovolte.
Tattiche di articolazione discorsivo/performativa per toccare la potenza del pensiero femminista decoloniale, tra liberazione, guarigione, rielaborazione dei meccanismi di difesa e creazione di forme di coscienza collettiva.(1)
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Da dove è nata l’idea del laboratorio Memorie da Sottopelle? Quale urgenza vi ha spinto a pensarlo, idearlo e costruirlo?
Capovolte sta dando un contributo essenziale alla divulgazione dei femminismi non occidentali, alle loro pratiche, concetti e desideri di liberazione. C’è un lavoro da fare in questa direzione che è strutturale: modi per entrare in contatto con una nuova ondata femminista capace di svuotare i significati e le metologie dominanti, che ha messo al centro, in primis, l’intersezionalità. Da qui nasce l’idea di dare spazio ai testi di Capovolte e quindi alle istanze che questa fase femminista contemporanea ci mette davanti. È importante che questo pensiero avanzi e prenda piede, ma è altrettanto importante che lo faccia in forme non compatibili con il sistema patriarcale.
Nel concreto come si declina questo principio?
Il laboratorio prende i contributi del catalogo di Capovolte e li valorizza, non semplicemente facendo eco a ciò che viene detto nei volumi, ma costruendo occasioni di incontro tra corpi in una relazione viva e concreta con le pagine – e con ciò che sono in grado di suscitare. L’intento è quello di riversarle e trasformarle poi direttamente nelle dinamiche collettive che noi creiamo in presenza con le partecipanti.
Si tratta di un lavoro che permette di sperimentare una dinamica di entrata e uscita dai testi. Diversamente dal modo molto occidentale dell’incontro uno a uno, il laboratorio promuove un passaggio tra autrice e lettrice nella dimensione una/insieme: “Io sono perché noi siamo” è uno dei concetti fondamentali del lavoro di Marielle Franco, una delle voci centrali. Vogliamo creare il “noi siamo” dall’“io sono” che prende parola. Imparare dall’ascoltarlo e riversare in quell’ascolto gesti concreti e una presa di consapevolezza collettiva. Dentro a questo impianto, c’è la volontà di dare nuova centralità al testo poetico, un corpo a corpo con la poesia, da cui nasce l’idea di “Coreo/Grafie”.
Il laboratorio vuole creare una relazione tra movimento e parola, tra corpo e poesia. In che modo le due cose si intrecciano in questi incontri che stanno avendo un grande successo?
La poesia all’interno del catalogo di Capovolte sta gradualmente acquisendo importanza. Lo sta facendo anche attraverso questo laboratorio che ha volutamente estrapolato le pagine più liriche e le formule poetiche che intervallano i saggi, oppure nei testi che hanno dato vita alla collana di poesia, La Po Ra.
Perché proprio la poesia?
Audre Lorde dice che la poesia non è un lusso ma la forma di espressione per chi non ha il tempo per l’elaborazione teorica, essendo in una condizione di oppressione strutturale che si manifesta anche come mancanza di tempo. Questo laboratorio vuole far emergere un altro modo e un altro tempo di fare relazione, che è il tempo della poesia. Cerchiamo significati sintetici capaci di generare una connessione diretta tra verbo, parola verbalizzata e sentire corporeo, in un nesso non necessariamente logico o scientificamente dimostrabile. Si tratta di elaborare uno strumento di comunicazione, connessione, espansione al di fuori e oltre il soggetto e quello che singolarmente ha elaborato del mondo.
Il femminismo nero, scheletro dell’impianto teorico del laboratorio, è pensiero incarnato, centrato sul corpo come luogo primario. Non esiste teoria che non parta dall’esperienza che il corpo fa del mondo, generando conoscenze sempre situate. La centralità del corpo a cui pensiamo è teorica ed esperienziale a un tempo. È il corpo che fa esperienza del mondo, su di esso rimangono tracce indelebili che – volenti o nolenti – continuiamo a portare con noi: il corpo come assemblaggio di memorie. La poesia diventa il mezzo preferenziale di espressione per l’immediatezza, per la capacità di trasmettere in parola il sentire del corpo vivente.
Il verbo e la parola possono andare allo stesso ritmo dei movimenti corporei, danzare ed esprimersi. È importante sottolineare che in questo travaso si esercita anche un’esigenza politica. Nel laboratorio è in gioco una performatività in cui ogni partecipante decide se e cosa condividere della propria elaborazione poetica trasformata in scrittura coreografica.
Questa performatività condivisa viene vissuta in una stanza ma è immaginata per esercitare una proposta da portare in piazza, come un’altra modalità di veicolare contenuti di protesta e di trasformazione radicale del mondo attraverso linguaggi diversi da quelli della contestazione. Il discorso decoloniale non è razionale, è qualcosa che tocca le viscere. Di conseguenza, anche il modo con cui pensiamo di portarlo in piazza non può non fare i conti con quelle viscere e con il bisogno di costruire un sentire collettivo che passa per l’arte.
NOTE
(1) L’intervista di Silvia Pelizzari è stata realizzata, in origine, per la newsletter Storie dal futuro di valori.it
Marie Moïse è docente alla Stanford University di Firenze e collaboratrice di ricerca all’Università di Innsbruck. Italo-haitiana, si occupa di razzismo e colonialismo da una prospettiva femminista decoloniale. Con questo approccio ha svolto la sua ricerca di dottorato in Filosofia sul pensiero politico di Frantz Fanon. È co-autrice di Future. Il domani narrato delle voci di oggi, a cura di Igiaba Scego (effequ 2019) e di Introduzione ai femminismi a cura di Anna Curcio (Derive Approdi 2019) con il saggio Black feminism. Marie Moïse è co-traduttrice, tra gli altri, di Da che parte stiamo. La classe conta di bell hooks, Memorie della piantagione. Episodi di razzismo quotidiano di Grada Kilomba (Capovolte 2021) e Donne, razza e classe di Angela Davis (2018).
Mackda Ghebremariam Tesfau’ è ricercatrice in Scienze Sociali e attivista. Ha ottenuto il suo dottorato presso l’Università di Padova con una tesi dal titolo Perché non li porti a casa tua? Storie di accoglienza tra rifugiati e locali, in cui analizza il razzismo e l’antirazzismo nel tentativo di spiegare la connessione tra pratiche quotidiane e sistemi di dominio. Mackda è docente a contratto presso l’Università IUAV di Venezia, Stanford Florence e NYU Florence e collaboratrice di ricerca presso l’Università degli Studi di Padova. È curatrice residente presso Centrale Fies per la borsa di residenza artistica “Agitu Ideo Gudeta”. Mackda è attivamente coinvolta nel dibattito antirazzista in Italia, in particolare nei settori dell’istruzione e della divulgazione.
COMBIN/AZIONI è la sezione di CUT/ANALOGUE delle conversazioni, spazio per un materiale che si attiva in una reciproca implicazione. Campo di possibilità discorsive che si generano come mescolanze dinamiche tra soggetti, situate in un tempo, contingenti.
ph. Maria Giovanna Sodero