COMBIN/AZIONI

Sulla materia oscura

Roberta Da Soller in conversazione con Cherish Menzo

Roberta Da Soller La prima questione importante del tuo attuale percorso di ricerca è la struttura a trilogia. Hai iniziato questo trittico con Jezebel, una performance molto potente sui corpi delle Video Vixen nere all’interno della scena rap tra gli anni Novanta e gli anni Duemila. DARKMATTER — che debutta in Italia a Short Theatre 2022 — continua questo percorso aggiungendo materia fantastica sulle possibili autonarrazioni e autodefinizioni che l’Afrofuturismo mette a disposizione. Entrambe le opere sono dirompenti perché, raccontando i dispositivi con il quale l’occidente e il sistema patriarcale rendono subalterni quei corpi,  fa emergere non solo l’atto di resistenza ma anche un’altra realtà inscritta nello spazio del conflitto.
Joan Morgan nel suo libro When Chickenheads Come Home to Roost, scritto nel 1999, in riferimento alla scena rap di quegli anni afferma: “You are my key to the locker room. And while it’s true that your music holds some of fifteen to thirty-year-old black men’s ugliest thoughts about me, it is the only place where I can challenge them”. Mi sembra che il tuo lavoro vada in questa direzione, ossia che instauri un corpo a corpo con lo spazio del conflitto come atto di resistenza, autodeterminazione e agenzialità. Ti chiederei di parlare della genesi di questa trilogia e del rapporto con la musica rap che ritorna in entrambe le opere.

Cherish Menzo Il punto di partenza di Jezebel è nato da quella che all’epoca sembrava una semplice domanda: dove sono oggi le Video Vixen? Le donne protagoniste dei videoclip musicali che guardavo e ammiravo durante la mia preadolescenza e adolescenza? Guardando indietro, mi sono resa conto che questa domanda aveva un significato più profondo e personale: è diventata parte della ricerca della mia agenzialità all’interno di un processo di autodeterminazione. In quel periodo la mia attenzione era rivolta a movimenti come quello del #MeToo e alle intense discussioni sull’ingiustizia sociale di genere. Sentivo che il corpo e la sessualità “femminili” stavano nuovamente rivendicando spazio e cercavano di emanciparsi dalle relazioni di potere e dall’oggettivazione del corpo. Allo stesso tempo ho percepito che le artiste stavano mettendo in discussione la rappresentazione del corpo “femminile”, gli stereotipi sessuali e la romanticizzazione di alcuni corpi perpetuata nel campo delle arti performative da una storia dell’arte eteronormativa.
Sebbene questi ritratti e queste domande mi abbiano stimolata, hanno anche generato confusione e attrito. C’era una dissonanza rispetto ai riferimenti femminili con cui sono cresciuta e con cui mi sono relazionata. Credo di aver pensato che questi ritratti e queste domande potessero in qualche modo riferirsi al corpo femminile bianco e occidentale e alle sue narrazioni…
Qualcosa mi ha spinta a rivedere le origini della mia percezione e del mio rapporto con la rappresentazione, il valore, la bellezza, le contraddizioni e le intersezioni all’interno e intorno ai corpi delle donne nere. Mi sono resa conto che mettere in relazione queste domande al corpo femminile e alla sessualità delle donne nere avrebbe avuto connotazioni diverse. Ho iniziato a interrogare gli archetipi dei corpi femminili neri che riecheggiano nei videoclip hip-hop della fine degli anni Novanta e dei primi anni Duemila: Video Vixen, donne iper-sessualizzate che erano il prodotto della fantasia maschile. Una fantasia che alcune delle rapper di oggi nella cultura pop e hip hop, come Cardi B, Megan Thee Stallion e Saweetie, mantengono ancora viva. Un’ipersessualità che sembra essere stata ripristinata, ma che può anche essere vista come un recupero di spazio e una presa di posizione contro l’ingiustizia sociale di genere. La prospettiva cambia a seconda di chi risponde a questa domanda…
Tali collisioni e contraddizioni mi hanno stimolata e spinta a indagare e creare un mio ecosistema e una mia agenzialità, all’interno di questo contesto.
Il mio interesse è cresciuto in modo naturale a partire dalla creazione di qualcosa che sentivo molto vicino a me, che toccava diversi strati della mia esperienza, delle mie domande, dei miei conflitti/attriti e delle mie aspirazioni all’interno delle arti performative. Il passo successivo è stato quello di capire come creare e realizzare il mio universo intorno a questo. Trovo che il gioco delle metafore e dei doppi sensi nel rap sia così ingegnoso e poetico. Il rap è uno strumento linguistico così importante con cui creare immaginazione visiva attorno alle Video Vixen e ad una specifica narrazione femminile. Per Jezebel ho deciso di esplorare e sfidare questo uso delle parole scrivendo testi e giocando contemporaneamente con le formule e le strutture utilizzate nelle canzoni rap. Per DARKMATTER ho voluto continuare a esplorare il rap come strumento performativo.

Cherish Menzo, Jezebel, Short Theatre 2021. ph. Claudia Pajewski

RDS Sono molto affascinata dalle città, dall’invisibile delle città, da ciò che rimane di un’attività. Avendo a che fare con la performance siamo ormai allenate a considerare la performatività un concetto elastico, il che non significa che tutto sia performativo, ma che questo concetto abita dimensioni diverse. È più complicato pensare all’architettura e alla progettazione urbana in modo espansivo, perché da un lato c’è il rischio di un purismo disciplinare che mette in guardia dagli sconfinamenti, dall’altro c’è il rischio di usare l’architettura come metafora, cioè come riproduzione di una figura che già conosciamo per rendere più comprensibile qualcos’altro a noi.
Da tempo mi chiedo se sia possibile interrogare le composizioni che certi corpi si danno con altri corpi (umani, non umani e non animati) che disegnano coordinate non tracciabili a prima vista, ma che di fatto riconfigurano l’abitare, lo stare, l’attraversare. Mi domando se sia possibile pensare questa attività, questa modificazione del reale che costituisce la struttura della creazione umana, come architettura.
Mi scuso per la lunghezza della riflessione, ci tenevo tuttavia a dedicarle questo tempo perché nasce proprio dalla visione di Jezebel l’anno scorso a Short Theatre. Sia in Jezebel che in DARKMATTER la città incombe, è dentro il movimento, è nel movimento. In Jezebel la performance nasce da una bicicletta lowrider e da una strada. In DARKMATTER, la città è la notte, il fremito di ciò che resta del giorno, l’invisibile che si manifesta, il soggiacente che si infiamma. Ti chiederei quindi di spendere qualche parola sul rapporto tra i corpi e la città come ulteriore soggetto della tua ricerca.

CM Ti ringrazio per aver condiviso questa ricca e intrigante riflessione. Mi piace la tua osservazione che le città di Jezebel e DARKMATTER sono incombenti. Non ho ancora considerato gli spazi in cui si svolgono le performance come spazi urbani, ma piuttosto come mondi fittizi in cui i confini, le relazioni e lo scopo dei vari elementi (i corpi — umani, non umani, inanimati —, lo spazio performativo, la musica, la luce e la scenografia) all’interno di questi mondi fittizi possono cambiare. Sono stata molto ispirata dal Prof. Philip Butler e da come usa il termine entità per decentralizzare l’umano. Decentralizzare l’umano ha creato un terreno in cui ho potuto re-immaginare il corpo (umano), l’architettura che gli è stata assegnata e la sua interazione e relazione con altre entità. Forse in questi regni fittizi, alcune entità hanno a volte realtà parallele…
Dopo aver visto DARKMATTER, la mia buona amica, artista performativa e creatrice teatrale Khadija El Kharraz Alami mi ha consigliato di leggere Glitch Feminisme di Legacy Russell. Mi sono innamorata di questo libro e della scrittura di Legacy! Molto di ciò che sembrava intuitivo durante il processo di creazione di DARKMATTER è andato al suo posto dopo aver letto questo libro. Mi riferisco a Glitch Feminisme in relazione a quello che menzionavi: “c’è il rischio di usare l’architettura come metafora, cioè come riproduzione di una figura che già conosciamo per rendere più comprensibile qualcos’altro a noi”.
Sia per Jezebel che per DARKMATTER, e probabilmente anche per la terza parte, la distorsione del corpo e del modo in cui leggiamo il corpo è stata la mia spinta principale. L’idea di una figura o di un’entità che viene tirata o strappata dalla sua forma “originale” crea per me uno stato e un luogo di continua trasformazione. Un laboratorio di rimodellamento, aggiunta, sottrazione, ingrandimento e riduzione, che porta l’esterno all’interno e viceversa, alla ricerca del dopo o dell’oltre, del non visto. Per poi essere sorpresi dal proprio mostro di Frankenstein… Credo che “distorcere” sia stata la mia strada verso il Glitch, uno strumento per modificare, diventare, contraddire, sbagliare e trascendere.

RDS La materia oscura è una parte del cosmo che può essere rilevata solo indirettamente, attraverso i suoi effetti gravitazionali. Tuttavia, tale materia sembra essere indispensabile affinché l’universo non collassi. L’oscurità di cui è costellato il tuo lavoro è in realtà una sorta di campo magnetico in tilt in cui la nera oscurità schizza in più direzioni, al di fuori dei soggetti a cui è stata assegnata. Si potrebbe dire che fuoriesce di senso, perde il senno. E se dovessimo seguire Deleuze, questa fuoriuscita farebbe spazio a molteplici disgiunzioni. Credo che questo punto sulla dissociazione dell’oscurità da una presunta materia originaria sia davvero un aspetto importante su cui vorrei chiederti di spendere qui qualche riflessione.

CM Nel titolo della performance, ho messo una linea su DARK. Da un lato, per cancellare o rimuovere qualcosa come errore nelle sue connotazioni ”negative”. Dall’altro lato, per dare enfasi ad esso, per farci gravitare su di esso. Che l’oscurità possa esistere, essere considerata perché abbia importanza e rilevanza. L’oscurità diventa importante in quest’opera anche perché il corpo nero è posto al “centro”. In questo senso, l’oscurità, l’abisso, il vuoto o il DARKMATTER diventano un luogo di potenziale speculazione e trasformazione, un luogo che forse non è sempre chiaro alla comprensione, sfocato e senza confini. Un luogo in cui il corpo nero può diventare un materiale fluido che può dislocarsi liberamente dal “centro”. Spero che abbia senso hahah…

RDS Sì, ha assolutamente senso! C’è uno strumento molto prezioso che il teorico José Esteban Muñoz ci ha messo a disposizione, ovvero la riflessione intorno alla parola baluginio. Quando penso al tuo lavoro, la parola baluginio mi aiuta a dare una certa spaziatura a tutto ciò che non posso mettere a fuoco, a tutto quello che rimane opaco. Un baluginio è una traccia, una luce ad intermittenza della memoria che tenta di farsi carne, l’attività del baluginio riattiva la conoscenza raccolta negli archivi corporei di tali memorie come “impulso utopico”. Mi sembra che entrambe le prime due opere della trilogia siano disseminate di frammenti di un passato che spinge verso un futuro ancora da scrivere.
Sappiamo bene che ogni lavoro di ricerca e pratica artistica produce un’eccedenza che sta dentro l’opera e che la trafigge, la trapassa. Forse questa domanda si proietta già nel prossimo capitolo, ma sono molto interessata al tema della futurità nel tuo lavoro artistico, in quali altre direzioni ti sta conducendo?

CM Oh, domanda difficile… È buffo che già durante il mio corso di laurea in danza, ogni volta che mi veniva dato lo spazio per creare qualcosa, la nozione di tempo era un elemento su cui mi interrogavo di continuo. Ho sempre avuto il desiderio di creare qualcosa che sembrasse infinito e spesso riservato nella sua cronologia. Credo che la distorsione temporale derivi da questo.
Quindi sicuramente c’è il desiderio di creare una terza opera che si colleghi in qualche modo a Jezebel e DARKMATTER, anche se sarà scritta e spero presentata in futuro, mi chiedo se l’ordine cronologico, sia all’interno della terza opera che all’interno della trilogia, sia qualcosa con cui posso giocare. Nell’ambito della ricerca per DARKMATTER ho toccato un po’ le superfici della spiritualità e della scienza spirituale afro-surinamese chiamata Winti. Sono ansiosa di approfondirla e di vedere il suo rapporto con la cosmologia. Forse questo potrebbe essere il baluginio…

Cherish Menzo, DARKMATTER, 2022, ph. Bas de Brouwer

RDS Un’ultima domanda che tiene insieme la ricerca sul movimento e la forma scenica. C’è un fuori tempo che accompagna l’intera composizione a più livelli. Prima parlavamo di una sorta di campo magnetico in tilt, ma ho usato erroneamente l’espressione “schizzare” giacché questo fuori tempo è dato invece da una dilatazione degli elementi e delle relazioni di scena. Utilizzi ad esempio il processo compositivo Chopped And Screwed, che deriva dalla musica hip-hop degli anni ’90, così come una serie di altre tecniche che hanno permesso di saturare la scena.
Potresti parlarci di queste tecniche in relazione all’idea di rottura del tempo naturale? Quali possibilità offre il fuori tempo per il ribaltamento delle narrazioni? Cosa comporta la scelta di un collasso progressivo del tempo della materia anziché prediligere un processo di accelerazione? Quali sono state le tecniche che ti hanno permesso di lavorare su questo, oltre a quella del Chopped And Screwed?

CM Chopped and Screwed è una tecnica di remixing originariamente utilizzata nella musica hip-hop. La tecnica è stata sviluppata nella scena hip-hop di Houston nei primi anni ’90 da Robert Earl Davis JR. alias DJ Screw. La tecnica Screw si realizza rallentando drasticamente il tempo e applicando tecniche come il salto di battute, lo scratch del disco, lo stop-time, la ripetizione e l’alterazione di porzioni della composizione originale per creare una versione “spezzettata” e “trasudante” della canzone. Per applicare questa tecnica, originariamente usata nella musica e nei testi, esploro modi per portare la distorsione temporale e l’iperarticolazione al corpo e ricerco come la relazione tra bocca, voce, suono, muscoli, tessuti possa reinformare e ridefinire il corpo performativo e proporre nuove narrazioni, spazi e forme corporee.
Oltre a Chopped and Screwed, Camilo(1) e io abbiamo cercato altri modi per sfidare e condizionare il corpo nel tentativo di esplorarne diverse letture. Come ad esempio invertire il processo di un’azione. Ad esempio, per alcuni testi da indirizzare, invece di dirigerli in avanti e di farli diventare udibili all’esterno, abbiamo esplorato come sarebbe se l’azione di consegna fosse qualcosa che viaggia o gravita fortemente all’indietro/all’interno, riempiendo gli spazi interni del corpo e lo spazio dietro il corpo. Quasi come se la bocca fosse un buco nero che risucchia e allunga il materiale al di fuori del suo orizzonte degli eventi verso l’interno.
Inoltre, sfidiamo il corpo e lo spazio cercando modi per esaurire e superare i loro limiti e confini fisici. Questo ha provocato un’accelerazione del tempo e del movimento. Ancora una volta, dopo aver letto Legacy Russell, ho capito meglio perché mi incuriosisce esplorare le possibilità del Chopped and Screwed sul corpo in movimento.

Russell Legacy: Glitch Is Remix

We are faced with the reality that we will never be given the keys to a utopia architected by hegemony. Instead, we have been tasked with buildings the world(s) we want to live in, a most difficult yet most urgent blueprint to realize. If we see culture, society, and, by extension, gender as material to remix, we can acknowledge these things as “original recordings” that were not created to liberate us. Still, they are materials that can be reclaimed, rearranged, repurposed, and rebirth toward an emancipatory enterprise, creating new “records” through radical action. Remixing is an act of self-determination; it is a technology of survival.

(1)Camilo Mejía Cortés, performer e creatore insieme a Cherish Menzo in DARKMATTER


Roberta Da Soller è un’attivista, attrice, performer e ricercatrice che vive e lavora a Venezia isola e terraferma. Fa parte di S.a.L.E. Docks, uno spazio-laboratorio di riflessione e azione politica dentro le maglie dell’arte contemporanea. È dottoranda all’università IUAV di Venezia con una ricerca sull’abitare femminista. Dal 2013 ad oggi ha lavorato come attrice in diversi film, tra i quali Fra due Battiti di S. Usardi (2020), Effetto Domino (2019) di A. Rossetto, Il Miracolo di N. Ammanniti, F. Munzi, L. Pellegrini (serie TV, 2018). Come performer ha collaborato con l’artista Dora García durante la Biennale d’Arte di Venezia 2011 e 2015 e nel 2021 all’interno della personale dal titolo Conosco un labirinto che è una linea retta al Mattatoio di Roma. Dal 2011 al 2017 ha lavorato come producer per il progetto Live Works a Centrale Fies Art Work Space, da cui nel 2019 nasce la pubblicazione Live Works. On the folds of real by the lens of performative a cura di Roberta Da Soller e Simone Frangi. Ha svolto parte della ricerca sulle pratiche performative a Bruxelles assieme a Peter Aers, Melissa Mebesoone, Oshin Albrecht, Mauro Sommavilla.

foto di copertina Claudia Pajewski


Cherish Menzo porta a Short Theatre 2022 il suo nuovo lavoro, DARKMATTER, in prima nazionale, nei giorni 10 e 11 settembre.

Venerdì 9 settembre, nella cornice di Anticipation of the Night, Cherish Menzo e Camilo Mejía Cortés, in dialogo con Francesca De Rosa, partecipano al talk Come to Matter.


COMBIN/AZIONI è la sezione di CUT/ANALOGUE delle conversazioni, spazio per un materiale che si attiva in una reciproca implicazione. Campo di possibilità discorsive che si generano come mescolanze dinamiche tra soggetti, situate in un tempo, contingenti.

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