ECOTONI

La tela di Aracne

di Laura Tripaldi
Nel libro Menti parallele, Laura Tripaldi invita a riconoscere l’intelligenza dei materiali, concepiti come strumenti attivi, capaci di interagire in modo complesso con l’ambiente. I materiali si adattano agli stimoli, si assemblano e si riparano autonomamente, conservando la memoria del proprio passato. Questa intelligenza, diversa da quella umana centralizzata nel cervello, rivoluziona la nostra comprensione della scienza, della tecnologia e della performatività dei corpi umani e più-che-umani. Nell’estratto che segue, Tripaldi riflette sulla nozione di “interfaccia”, prendendo a prestito riflessioni dalla scienza dei materiali e suggerendo di intenderla in modo più profondo e trasversale di quanto non sembri a primo sguardo. Riconoscere l’interfaccia come una regione materiale in cui due sostanze possono mescolarsi per creare un corpo ibrido e completamente nuovo può essere un punto di partenza per ripensare il nostro rapporto con la materia che ci circonda.

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La parola “interfaccia”, oggi, è entrata nell’uso comune, ma in un’accezione un po’ diversa da quella che si usa in chimica o nella scienza dei materiali. Spesso la utilizziamo per descrivere l’interazione con le nuove tecnologie digitali: parliamo di interfacce di applicazioni, software e siti web per riferirci al ‘volto’ che ci mostra la tecnologia quando deve comunicare con noi. In questo senso, l’interfaccia è una finestra che si apre davanti ai nostri occhi e che ci permette di accedere comodamente a mondi paralleli
che altrimenti ci sarebbero preclusi. È la voce femminile delle assistenti virtuali che ci guidano nella nostra vita quotidiana e il social media che ci chiede amichevolmente a che cosa stiamo pensando. È il modo in cui rendiamo le nostre tecnologie sempre più umane e immediate nascondendo, spesso, gli aspetti più complessi del loro funzionamento come polvere sotto al tappeto. Questa familiarità con l’interfaccia, che cerchiamo di rendere sempre più sottile fino a farla diventare invisibile, tende a farci dimenticare che ogni dialogo con la tecnologia avviene in un territorio ibrido, in cui i nostri strumenti influenzano il nostro comportamento tanto quanto noi influenziamo il loro.
Lavorando con i materiali e confrontandomi con numerose occasioni in cui la comunicazione tra due superfici si è rivelata più complessa del previsto, ho capito che quello di interfaccia è un concetto più profondo e trasversale di quanto a un primo sguardo possa sembrare. Se dovessi conservare un singolo insegnamento, tra tutte le cose sorprendenti che ho avuto l’opportunità di scoprire studiando la chimica, sarebbe sicuramente questo: che l’interfaccia non è una linea immaginaria che divide i corpi gli uni dagli altri, ma che è una regione materiale, una zona di confine dotata di massa e spessore, caratterizzata da proprietà che la rendono radicalmente diversa dai corpi che l’hanno prodotta nel loro incontro. Chiunque si trovi alle prese con un nuovo materiale si rende conto ben presto che quello che ne determina il comportamento spesso non ha a che vedere con la sua composizione o struttura più interna, che in chimica si chiama bulk, ma con quello che succede sulla sua superficie.
L’importante è quello che succede nella regione in cui si realizza l’incontro, a volte semplice e più spesso complicato, tra quel materiale e qualcos’altro. L’interfaccia, in chimica, è definita proprio come la regione in cui due sostanze, dotate di proprietà chimico-fisiche diverse, si incontrano.

Interesections © EdoardoCozzani, 2022.

Mi ricordo molto bene quando, qualche anno fa, lavorando alla mia tesi, cercavo di depositare uno strato finissimo di nanoparticelle di biossido di titanio su un supporto polimerico; per intenderci, un dischetto di plastica di una decina di centimetri che, galleggiando sulla superficie dell’acqua, avrebbe avuto il compito di catturare ed eliminare gli inquinanti disciolti, degradandoli con l’aiuto della luce solare. Le nanoparticelle e il polimero non volevano proprio andare d’accordo: quando il dischetto veniva immerso in acqua, lo strato di particelle si staccava dal supporto, disperdendosi nel liquido e vanificando tutti i miei sforzi di tenerli attaccati insieme. Per fare un esempio più noto: una goccia d’acqua depositata su una lastra di vetro, a contatto con l’aria che la circonda, produce naturalmente una superficie semi-sferica.
Questo fenomeno è dovuto alla tensione superficiale dell’acqua, una grandezza che indica la tendenza delle molecole di una sostanza a restare coese tra loro, riducendo la propria superficie di contatto con il mondo esterno. Quello che è interessante è che il comportamento della goccia non è semplicemente una proprietà intrinseca dell’acqua, ma si modifica a seconda delle caratteristiche delle diverse sostanze con cui interagisce. Così, ad esempio, se la superficie del vetro viene modificata chimicamente, a seconda del tipo di molecole legate alla sua superficie la goccia d’acqua tenderà ad appiattirsi completamente, oppure, in altri casi, tenderà a ridurre la propria area di contatto con il vetro fino a formare una sfera perfetta. Se, invece, nell’acqua vengono disciolte particolari sostanze organiche, chiamate tensioattivi, capaci di disporsi lungo la superficie più esterna della goccia riducendone la tensione superficiale, questa mostrerà una maggiore affinità con l’aria, e preferirà appiattirsi, esponendo una superficie maggiore.

Tracce © EdoardoCozzani, 2022.

Questi semplici comportamenti dimostrano che l’interfaccia è davvero uno spazio di incontro in cui due corpi diversi si intrecciano tra loro per formare uno stato della materia completamente nuovo. Anche se le molecole della goccia d’acqua non cambiano mai la propria natura chimica, all’interno dell’interfaccia si comportano in modo molto diverso da come fanno di solito, disponendosi secondo una particolare struttura che dipende dalla sostanza con cui entrano in contatto. In questo senso l’interfaccia è il prodotto di una relazione a doppio filo, in cui due corpi in interazione reciproca si fondono formando un materiale ibrido, diverso dalle sue componenti di partenza. Ancora più significativo è che l’interfaccia non è un’eccezione: non si tratta di un comportamento della materia che osserviamo soltanto in condizioni rare e specifiche. Al contrario, nella nostra esperienza dei materiali che ci circondano abbiamo sempre a che fare soltanto con l’interfaccia che essi costruiscono con noi. Stiamo toccando solo la superficie delle cose, ma si tratta di una superficie tridimensionale e dinamica, capace di penetrare sia all’interno dell’oggetto che abbiamo difronte, sia all’interno di noi stessɜ.

L’idea dell’interfaccia come regione materiale, in cui due sostanze possono mescolarsi producendo un corpo ibrido e completamente nuovo, può essere il punto di partenza per ripensare, più in generale, il nostro rapporto con la materia che ci circonda. Se davvero tutti i corpi con cui entriamo in relazione si modificano e ci modificano a loro volta, non possiamo più illuderci che la materia sia semplicemente un oggetto passivo su cui proiettiamo la nostra conoscenza. Allo stesso tempo non possiamo nemmeno rifugiarci nell’idea, certamente comoda, che la conoscenza di ciò che non è umano ci sia completamente preclusa: che la materia che ci circonda sia, in fondo, del tutto aliena e inconoscibile, e che non abbia davvero nulla a che fare con noi. Abitando l’interfaccia, abbiamo l’opportunità di ridefinire la conoscenza della materia come un processo creativo e collaborativo a cui ogni materiale partecipa attivamente. Ogni volta che entriamo in relazione con un nuovo materiale, costruiamo uno spazio fisico di interazione reciproca, che modifica il mondo che ci circonda e che ci apre la possibilità di modificarci a nostra volta.

 

Laura Tripaldi, Menti parallele. Scoprire l’intelligenza dei materiali, effequ 2020, pp. 17-21.

 


Laura Tripaldi è scienziata e scrittrice. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Scienza e Nanotecnologia dei Materiali. Ha pubblicato Gender Tech. Come la tecnologia controlla il corpo delle donne (Laterza 2023), Menti parallele. Scoprire l’intelligenza dei materiali (effequ 2020, tradotto in inglese nel 2022) e Corpi ambigui. Sguardi, genere, tecnologia (Einaudi 2021).

Edoardo Cozzani è un artista multimediale nato a Roma nel 1993 che attualmente vive e lavora a Brooklyn, New York. Interessato a mettere in luce il rapporto trasformativo tra l’essere umano e l’ambiente, il suo lavoro esplora le intersezioni tra materiali “naturali” e materiali prodotti dall’uomo attraverso pratiche sperimentali che includono la fotografia, la scultura e la land art.


ECOTONI è la sezione di CUT/ANALOGUE che apre agli immaginari provenienti da altri mondi concettuali, discorsivi, materiali, in “forma di estratto”. Funge da transizione tra ecosistemi adiacenti suggerendo spostamenti graduali, nella tensione oscillatoria dell’in-tra.

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