Rachel Brumana in conversazione con Renata Carvalho
Rachel Brumana È per me molto bello conversare con te in occasione della presentazione del tuo lavoro per la prima volta in Italia. Tessere il legame tra teatro brasiliano e teatro italiano è qualcosa a cui sto lavorando attraverso una rassegna italiana in Brasile. Quando avremo politiche di cultura diverse da quelle attuali, mi piacerebbe che il teatro brasiliano arrivasse in Italia in modo più pervasivo. Nuove strade si stanno aprendo grazie al potere di artiste come te, ma penso anche a Gabriela Carneiro da Cunha, ovviamente a Lia Rodrigues, ma anche a Calixto Neto, Catol Teixeira. Sapere che Short Theatre si è fatto promotore di una tournee italiana da Venezia a Palermo mi rende molto felice.
Ieri mattina ho aperto Facebook, e ho letto un post. Segnalava che sono passati sei anni dal debutto di The Gospel According to Jesus Queen of Heaven. Nel post Jo Clifford ricordava l’importanza di questo lavoro per il teatro brasiliano. Sulla locandina eri ritratta di spalle per ragioni di sicurezza personale. Poi nel 2019 ha debuttato il tuo Manifesto Transpofágico, dove ti esponi, volto, corpo, pensiero. Ti chiederei di tracciare l’arco che conduce a questo atto di coraggio. Da uno spettacolo di finzione (la messa in scena di testo drammaturgico tradizionale) muovi verso un teatro autobiografico e politico. È interessante che in italiano Manifesto significa anche locandina. Manifesto Transpofágico è fatto di parole, ma è anche un poster con la tua immagine esposta senza filtri.
Renata Carvalho All’inizio mi sono nascosta per ragioni di sicurezza ma poi ho deciso di mostrarmi perché lo spettacolo aveva debuttato. Sapevo che il Brasile fosse un paese transfobico ma non immaginavo quanto potesse essere violento. Quello che ho imparato da The Gospel According to Jesus Queen of Heaven è che tutto quell’odio non era diretto a me, perché le persone non sapevano davvero chi fossi. L’odio era rivolto alla figura di una “travesti” che interpretava Gesù. Ho capito che non era una cosa personale, ma che riguardava quello che rappresentavo, quello che il mio corpo rappresentava. Quando ho messo in scena il Manifesto sono stata accusata di volermi mostrare. È ironico essere accusata di voler apparire a tutti i costi in un progetto nato per togliere dall’invisibilità il mondo trans. Nel primo caso ho nascosco il mio volto per non subire violenze e nell’altro caso lo nascondo per discutere sul mio corpo che è più vecchio di me, come dico nello spettacolo. Volevo porre in questione il mio corpo partendo dallo stigma trans che si alimenta nell’immaginario comune. Indipendente da me, da quello che faccio, dalle decisioni che prendo, il mio corpo arriva sempre prima, sempre davanti, come un muro, un manifesto, un cartello lampeggiante.
RB Penso che sia importante contestualizzare quest’opera in Italia, prendendo le mosse da The Gospel. Quando ti abbiamo conosciuta in quello spettacolo come attrice abbiamo capito, in quanto lavorat_ della cultura, che c’era un’artista che doveva essere ascoltata, sostenuta, protetta. Poi dai vita al Manifesto per la rappresentatività trans nel mondo dell’arte…
RC Conduco una ricerca sul corpo trans dal 2007 quando sono diventata Agente di prevenzione volontaria STI, per HIV, epatite, tubercolosi nella mia città natale Santos e ho lavorato per 11 anni con travesti nella prostituzione. Quindi ho iniziato a studiare il corpo trans dal punto di vista della salute fisica e psichica per via del mio lavoro. Volevo sapere chi ero, da dove venivo, e non c’era nessun libro che lo raccontasse. Da dove veniva la mia transessualità?
Ho cominciato la mia transizione nel 2002 e il Brasile era un altro paese. Durante la transizione sono diventata regista, produttrice, truccatrice, non c’era uno spazio per me come attrice. Il teatro non prevedeva un corpo come il mio, non importa quante persone trans ci fossero. C’erano Rogéria, Divina Valéria, Eloína dos Leopardos, Claudia Wonder. Per quanto abbiano fatto teatro e film, lavoravano piuttosto nello spettacolo di intrattenimento, non nel teatro di ricerca o come parte di un gruppo. Nel posto dove ero, nel teatro di ricerca, non c’erano persone trans e, senza sapere cosa fosse, già litigavo contro il transfake. Ero lì, un’artista trans, facevo mille mestieri per mantenermi, nell’arte non c’era spazio per me. Facevo provini e la gente rideva di me: “nessuno crederà nella la tua voce” – dicevano.
Quando ho fatto la transizione è stata una bomba nel teatro a Santos, impensabile una travesti che transiziona e fa teatro. In quel momento ho deciso di tornare sul palcoscenico come attrice. È stato difficile mantenermi. Ho continuato a fare ricerca. Visto che il libro che raccontava la nostra storia non esisteva, ho pensato di scrivere quel libro, a mettere insieme materiali diversi, biografie, riviste, tesi di dottorato, tutto ciò che è uscito sulla transizione. Oggi la “transteca” conta più di 200 libri solo sulla tematica trans. Fulminante è stato il momento in cui ho letto il libro di Claudia Wonder, Olhares de Claudia Wonder – crônicas e outras histórias, in cui intervista Thelma Lipp, che racconta di essere stata sostituita da Rodrigo Santoro nella parte di un personaggio trans nel film Carandiru con la regia di Hector Babenco. Thelma ritiene che quella delusione le abbia causato l’ictus. Dopo l’accaduto riprese a drogarsi. Tornò dalla sua famiglia e morì come Deodoro ormai paralizzato. Questo episodio mi ha colpito molto. Mi ricordo che su quel libro ho messo un asterisco e ho scritto “devo continuare da qui”. Claudia Wonder e Thelma Lipp dicevano: “dobbiamo trovare un modo per parlare con il SATED (Sindacato degli Artisti e Tecnici di Teatro) per fare in modo che i personaggi trans siano recitati da artisti e artiste trans”. Questa rivendicazione è rimasta dentro di me e ho poi scritto il “Primo manifesto della rappresentatività trans nello spettacolo”, ed è nato il movimento di artist_ trans, il Monart – Movimento Nacional de Artistas Trans. E poi sono andata ad ascoltare Abdias Nascimento e Zezé Motta. È stato essenziale sentire che il modo di affrontare la questione dell’assenza delle persone nere in scena coincideva(1). C’è poi un libro che amo molto, Grande Sertão Veredas di Guimarães Rosa, penso che risponda a tutto nella vita(2).
RB Che il più grande romanzo della letteratura brasiliana racconti una storia d’amore trans andrebbe proprio raccontato nelle scuole, ovunque.
RC Diadorim è un uomo trans. Riobaldo a un certo punto afferma: “C’è un punto a partire da quale non si può più tornare indietro”. Mi sono detta: “è questo!”. E dice inoltre: “A tante cose importanti nella vita manca il nome”. Ho quindi cominciato a compiere atti di nominazione: transpologa, traviarcato, transcestralitá, transfake…
RB Cosa intensi per “rappresentatività trans”?
RC È una lotta per l’inclusione, la permanenza nel settore dello spettacolo, la professionalizzazione e la rappresentazione collettiva degli/delle artist_ trans negli spazi della creazione artistica. Il Monart chiede anche l’interruzione della pratica del transfake, che si verifica quando un artista cisgender interpreta un personaggio trans. Il motto è “Rappresentatività subito: Dite Sì al Talento Trans!”.
Quando ho avuto questa idea del movimento, avevo circa 20 anni di carriera alle spalle, ma solo con The Gospel ha potuto viaggiare nei grandi Festival. Sono stata la prima a farlo. Ma chi sarà la prossima?
La ricerca condotta in questi anni è diventata tangibile. Oggi molte persone trans sono tra le quinte ed è esattamente quello che stavamo cercando, la possibilità di occupare collettivamente, con il nostro corpo la scena. Fino a che lo occuperò da sola, continuerò a essere un corpo esotico. Se fossi nata negli anni ‘60 con la stessa consapevolezza che ho oggi, non occuperei lo stesso posto. C’è dunque la piena coscienza che posso piantare questo seme per il futuro perché il terreno è stato fertilizzato da altre persone prima di me, qualcuno ha fecondato la terra per me.
RB Questo gesto pioneristico è palpabile perché collettivo. C’è una trasformazione importante in atto nella scena brasiliana. So che nell’industria culturale ci sono già azioni in questo senso, soprattutto nel cinema in altre parti del mondo…
RC Il cinema è più avanzato del teatro rispetto al transfake, ci credi? Anche la TV è cambiata.
RB Quando all’estero discuto del transfake rimane una questione aperta…
RC È ironico perché quando ci sono personaggi femminili, nessuno pensa a uomini per recitarli, quando ci sono personaggi maschili, nessuno pensa a una donna per farlo, allora perché dovrebbe accadere con le persone trans? Chiediamo che la pratica del transfake venga sospesa. Walter Benjamin dice qualcosa più o meno così: “la democrazia è così positiva che a volte dobbiamo rimuovere la democrazia per il bene della democrazia”. Quello che voglio dire è che il corpo neutro in teatro è un mito, e se esiste non riguarda tutti i corpi. Noi crediamo che l’attore possa essere tutto, animale, oggetto, donna, uomo, travesti, ma non tutte le persone possono essere tutto. I nostri corpi segnati possono solo sviluppare personaggi segnati.
Vogliamo quella che chiamo “democrazia scenica”, generale e senza restrizioni. Vogliamo che tutti i corpi possono avere libertà di espressione: vogliamo che quando una travesti interpreterà una donna incinta non sarà messa in questione; quando una travesti farà l’amore con un rubacuori come Cauã Raymond senza che sia un problema, quando una travesti inizierà ad avere spazio per posizionarsi in luoghi in cui il nostro corpo non è interrogato allora avremo raggiunto una democrazia scenica ampia, generale e illimitata, in cui noi tutt_ saremo in grado di fare tutto.
Sono stata spesso accusata di compiere atti di censura per aver protestato con attori cisgender che interpretano donne trans. Perchè ci sia la censura, occorre che ci sia in gioco una relazione con il potere.
RB E il potere non è dalla parte delle travesti…
RC Ho deciso di recitare soltanto personaggi trans fintanto che esiste un nome, una sceneggiatura, delle battute per un ruolo importante, la cui mancanza si sentirebbe nella storia. Quello che vogliamo è poter scegliere i personaggi, sentirci sfidate. Quindi quando mi chiedono “allora reciterai solo ruoli trans?”. Rispondo “sono 26 anni che faccio l’attrice, ho recitato molti personaggi cisgender per tutta la vita, sto iniziando adesso a creare personaggi trans e non voglio più che il mio corpo sia un oggetto in funzione di qualcos’altro.
Nel teatro abbiamo la falsa impressione che l’arte sia inclusiva, ma il teatro è nato escludendo. Solo gli uomini potevano fare teatro, le donne entrano in scena 1200 anni dopo con la Commedia dell’arte. Le persone nere sono entrate in scena in Brasile solo a partire dal 1940 con Abdias do Nascimento. Noi abbiamo iniziato a discutere di corpi trans nel 2017.
RB Di recente ho letto Sono un mostro che vi parla di Paul B. Preciado, che racconta della volta in cui è stato invitato a tenere una conferenza davanti a 3.500 psicoanalisti sul tema Le donne in psicoanalisi.
RC Sai che Preciado ha visto Manifesto Transpofágico a Parigi? Lo scorso anno, nel settembre 2021. E gli è piaciuto.
RB Ne sono sicura! Penso che questo testo abbia molte connessioni con il tuo Manifesto Transpofágico, e anche il suo Manifesto contra-sessuale. Vedo tanti punti di collegamento. Nella conferenza, Preciado ricorre a un racconto, Relazione per un’Accademia di Franz Kafka, in cui una scimmia, Pietro il Rosso si rivolge a un’accademia di intellettuali, dicendogli di aver imparato a parlare usando il loro linguaggio, ed è lì che usa questo titolo provocatorio, “sono un mostro che vi parla”, per questionare il ruolo dello sguardo della psicoanalisi rivolto alle persone trans.
RC Mi piace molto, lo segno. Mi ricorda quel libro di Spivak, Pode o subalterno falar? [Can the Subaltern Speak?].
RB Mentre lo leggevo mi sono ricordata dell’inizio del tuo spettacolo, quando inviti spettatori e spettatrici che si sentono a disagio o in pericolo, a sentirsi liberi di lasciare la sala. Mi sono segnata questa frase di Preciado: “Non è la transessualità a essere spaventosa e pericolosa, ma il regime della differenza sessuale”. E afferma, dal punto di vista sociologico, che le donne, i/le migranti, le persone razzializzate, le persone trans, omossessuali, i corpi disabili, sono il nuovo soggetto politico del processo rivoluzionario. E per questo devono costruirsi collettivamente un’altra epistemologia del corpo umano vivente, cosi come nuovi linguaggi, discorsi e forme di conoscenze diverse da quelle del patriarcato coloniale. È un discorso che si avvicina al tuo.
RC The Gospel ha cambiato il mio modo di relazionarmi e di parlare. Sono andata a studiare la comunicazione non violenta, perché quando ero più giovane ero molto esplosiva. Alla MITsp ci sono stati due incontri importanti, non riesco nemmeno a guardare quei video… Tutti ne parlavano, te li ricordi(3).
RB Si, c’ero entrambe le volte, mi ricordo bene. Una eri in platea, l’altra da invitata.
RC Esatto. In realtà tre. Due volte da invitata, una con Wagner Schwartz e un’altra con una persona indigena. Ero aggressiva per via della transizione, nessuno voleva sapere che venivo minacciata di morte ogni giorno, non uscivo di casa, ero in una profonda depressione. E in quel momento ho studiato la comunicazione non violenta, cambiare postura era fondamentale per il movimento per la rappresentatività trans.
Poi ho letto un intervento di Roland Barthes nel quale afferma che il francese è una lingua fascista. Lui lo dice parlando a bassa voce e lentamente. Questa visione è stata per me clamorosa, perché ti costringe a fare i conti con la lingua.
Come faccio a pretendere di essere ascoltata se non trovo un modo di comunicare attraverso la calma, soprattutto ora che vivo un vantaggio sociale, con una carriera che si è strutturata, e sono un po’ economicamente stabilizzata.
Mi sono accorta di essermi bruciata – un giornalist_ ha usato questa espressione – perché sono arrivata a San Paolo in gennaio, e a marzo ero la travesti più odiata del teatro brasiliano, quando ho lanciato il Manifesto per la rappresentatività. Mi sono resa conto che alcune grandi strutture mi stavano chiamando, e se non potevo cambiare me stessa come facevo a cambiare queste istituzioni? Ho iniziato a parlare bene, tra i 6 e gli 8 hertz, lentamente. È quello che faccio nel Manifesto, quasi a bassa voce. Niente che scuota – questo l’ho imparato da una donna nera, Roben Angelo, che ha scritto La fragilità bianca. Per questo nel Manifesto uso il microfono, ecco perché la luce non si accende drasticamente e il suono non ferisce le orecchie, niente violenza.
Conceição Evaristo dice che gli attrezzi della “Grande Casa” non abbatteranno la “Grande Casa” (la casa dei padroni durante la schiavitù in Brasile). Per questo abbiamo bisogno di nuovi attrezzi, nostri. Sto facendo questo quando lavoro per Netflix, TV Globo o per O2. Non dico che tutte le persone sono transfobiche, dico che esiste un certo grado di transfobia diffusa. Non dico che non si possa fare transfake, blackface nel 2022, ma dico che è giusto ci sia una pausa. Non dico che le persone cisgender siano colpevoli, ma dico che siamo tutt_ responsabili.
Un giorno sono andata a parlare, con la prima Reverenda Protestante trans dell’America Latina, Alexa Salvador. Ricordo che ero un po’ intimidita, dopo è entrato un reverendo e ha cominciato a parlare gridando, e mi sono spaventata. E ho pensato, se fossi stata io a tenere il discorso con quel volume, sarei stata violenta, e lui invece semplicemente enfatico.
RB “La libertà è un tunnel che si scava con le mani nude”: è la frase scritta nella quarta di questo libro che ti ho mostrato.
RC Angela Davis dice “la libertà è una lotta continua”.
RB Una volta che inizi non puoi più uscirne. C’è un’altra frase che mi ha toccata, dice che un giorno la designazione del sesso alla nascita sarà vista come una cosa brutale, violenta. Bisogna imparare un nuovo lessico. Bisogna insegnare a dire travesti, persona nera, indigena, persona con disabilità al posto delle parole sbagliate. Un’ultima domanda sul Manifesto Antropofagico di Oswald de Andrade del 1922, a cui in occasione del suo centenario viene dedicata la Settimana dell’Arte Moderna in Brasile. Ispira il titolo del tuo spettacolo. Nel centenario di quel manifesto lo stiamo riattraversando, riconoscendone l’importanza. È stato un passaggio fondamentale per artist_, ricercator_, pensatori e pensatrici di quella stagione, ma soprattutto per quelli venuti dopo, penso a Flávio de Carvalho a Ligia Clark, molte persone e artiste si sono ispirate a quell’idea di modernismo brasiliano. Da li nasce la famosa frase: “solo l’antropofagia ci unisce”. La mia domanda è oggi: “la transpofagia ci unisce?”
RC Ci unisce, transversalmente ci unisce. Il traviarcato è l’opposto del patriarcato. Si tratta di un cambiamento di sguardo. Questo cambiamento sta accadendo, è lento e graduale, ma è costante. Volevo inserire nello spettacolo la frase sull’antropofagia che ci unisce, lo sapevi? Poi l’unica frase che ho messo è stata “Tupi or not Tupi, that’s the question” che è in parallelo con la domanda; “Maschio o Femmina? That’s the question”. Ed è interessante che il Manifesto Antropofagico sia stato realizzato in una stanza dove c’erano poche persone, mentre la travesti apre a una discussione pubblica, ed è così che dev’essere.
RB Meraviglioso. Sono convinta che questa sia un’idea per il futuro. Ti faccio i complimenti per il tuo lavoro; ti ringrazio molto per quello che stai facendo.
(1) Abdias Nascimento (2014-2011) è stato un importante artista e attivista nero brasiliano. Ha creato, tra altre iniziative, il Teatro Experimental do Negro. Zezé Motta (1944) è un’attrice brasiliana con una lunga carriera nel cinema, nel teatro e nella TV dove ha sempre manifestato contro l’assenza dei protagonismi neri.
(2) Grande Sertão Veredas è un romanzo dello scrittore brasiliano João de Guimarães Rosa, pubblicato nel 1955 e tradotto in italiano nel 1970, considerato uno dei più importanti della letteratura brasiliana e centrato sull’invenzione di una linguaggio particolarmente complesso e creativo ispirata alla lingua parlata nell’interno di Minas Gerais (sertão), in cui emerge il rapporto intimo e intenso di amicizia e anche d’amore tra Riobaldo e Diadorim, di quest’ultimo il corpo femminile biologico viene rivelato al lettore al momento della sua morte.
(3) Si riferisce alla sua partecipazione ai dibatti promossi dalla MITsp – Mostra Internacional de Teatro de São Paulo: “La critica non è censura: di chi è l’arte che può fare tutto?” (2018) e “Forum sulla decolonizzazione: corpi ribelli e loro singolarità” (2019).
Rachel Brumana lavora nel campo della produzione, gestione e curatela delle arti performative a livello nazionale e internazionale da San Paolo (Brasile), dove risiede la maggior parte del tempo, lavorando a progetti ispirati alla collaborazione, all’attivismo, alla libertà di espressione, alle agende ambientali e sui diritti umani.
Cura la rassegna SCENA – Semana da Cena Italiana Contemporanea em São Paulo e coordina la produzione della MITsp – Mostra Internacional de Teatro de São Paulo. Da molti anni ha stabilito un rapporto lavorativo e collaborativo con artist_ e festival italiani, promuovendo il debutto in Brasile di realtà come Fanny&Alexander, Motus, Alessandro Sciarroni, Chiara Bersani.
foto di copertina Manifesto Transpofágico ph. di Nereu Jr
Manifesto Transpofágico di Renata Carvalho è a Short Theatre 2022 in prima nazionale il 9 e 10 settembre.
Renata Carvalho, in dialogo con Antonia Caruso e Adelita Husni-Bey, interverrà nel talk Stati Transitivi, domenica 11 settembre alla Pelanda del Mattatoio.
COMBIN/AZIONI è la sezione di CUT/ANALOGUE delle conversazioni, spazio per un materiale che si attiva in una reciproca implicazione. Campo di possibilità discorsive che si generano come mescolanze dinamiche tra soggetti, situate in un tempo, contingenti.